La nostalgia che avremo di noi by Anna Voltaggio

La nostalgia che avremo di noi by Anna Voltaggio

autore:Anna Voltaggio [Voltaggio, Anna]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Neri Pozza


Penelope

Nemici, sono tutti nemici schierati come un esercito. Sono maledetti.

Li sposto da un punto all’altro per fare spazio, creare un ordine. Pare che si formino pile sotto le pile che continuamente muovo.

Tutti questi dorsi allineati uno sopra l’altro, impolverati, ingombranti, superbi come se dovessi sentirmi in difetto. Libri del cazzo, colonizzatori, tolgono l’aria. Pesano, pesano. Devo sempre trascinarmeli dietro, farmi male alle dita, incurvare la schiena.

È da quando sono nata che mi stanno addosso, non sentono, non gli importa niente di quanto siano irrilevanti, che a nessuno importa niente, ma non sentono, non sentono. Le loro pretese sono sempre esaudite. Libri del cazzo, sporchi, ingialliti, ti entrano nelle ossa, invadono tutto.

Devono essere migliaia. Migliaia e migliaia di libri. Riempio gli scatoloni del supermercato Conad, non bastano. Devo tornare dalla signora tozza, vestita western, chiederne altri.

«Costano venti centesimi l’uno».

«Quelli fuori accatastati?»

«Eh».

«Un tempo erano gratis, ora costano venti centesimi?»

«Senta, non le faccio io le regole, io sono qua solo per lavorare».

«Certo. E mi fa lo scontrino per questi scatoloni che compro?»

«No».

Ho gli scatoloni del Conad, ci ficco dentro i libri, li lancerei uno sopra l’altro senza guardare dove vanno a finire, mi piacerebbe sentire il tonfo, una copertina strapparsi, sentire il tac della rilegatura come un tendine che si stacca. Ma poi non ci entrano, maledetti. Ho queste scatole, le accumulo da giorni per farceli stare tutti. Non posso riversarli come cose rotte, li devo mettere uno sopra l’altro, dritti, ordinati. Ho i polpastrelli grigi di polvere, che schifo.

Mio padre è vecchissimo. Mi chiama, fa molte domande, capisce la metà delle cose che dico.

Casa sua è tutto un girare di badanti e infermiere che gli trascinano avanti i giorni per la sua ostinazione, ho provato a ficcarlo in una struttura quando sembrava che finalmente anche la testa avesse ceduto, era pure decorosa, con il giardino che si vedeva dalla finestra e le attività musicali, ma invece niente, niente! Il giorno prima del trasferimento gli è tornata la lucidità di un imperatore in guerra e si è incatenato alla barra della flebo, mi ha detto: «Non provarci nemmeno, perché ti tolgo tutto».

Non ho energie per provare pena per lui, cos’ha mai provato lui per me?

Sono sempre la sua bambina deludente con il cuore raggrinzito.

«Devo prendere le ultime cose, papà. Domenica entrano i nuovi proprietari».

Le ultime cose. Sono questi libri di merda che sembrano moltiplicarsi come creature di fantascienza.

Mi tremano le mani, devo calmarmi.

La casa si deve vendere, che i soldi, cazzo, non arrivano piú da nessuna parte.

Le telefonate, una dopo l’altra, non arrivano piú. E se uno non chiama, non chiama neanche l’altro e neanche l’altro. Non mi invitano alle cene, non mi fanno gli auguri di compleanno.

Mi restano i ritagli di giornale con le mie foto inappropriate, quel collo lungo che sta avvizzendo, la bocca che curva gli angoli verso il basso e mi costringe in questo sorriso inverso, in questa tristezza eterna. Mi sento addosso questo peso insopportabile della vita già vissuta, e chi sono ora se tutto è già successo?

Mi



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