La primavera perfetta by Enrico Brizzi

La primavera perfetta by Enrico Brizzi

autore:Enrico Brizzi [Brizzi, Enrico]
La lingua: ita
Format: epub
editore: HarperCollins Italia
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


XII

Il mondo alla rovescia

Sopravvivere al weekend in attesa di incassare il prestito di Magnus non è un compito così difficile, ma la domenica mattina le palpebre pesano come fossero di piombo sugli occhi gonfi.

Lo stupore di ritrovarmi dolente e sporco di sangue si mescola alla vergogna per lo stato abominevole in cui mi sono ridotto ieri sera; ho creduto di vedere Gesù, il che di solito non è un buon segno, poi l’ho aggredito e quello, giustamente, mi ha legnato.

La preoccupazione per la nebbia che mi è calata nel cranio si mescola all’urgenza di guardarmi allo specchio, ma quando provo a radunare le forze per alzarmi, vaghi piani di mettere in vendita gli oggetti di valore mi distraggono.

Imbozzolato come sono, piego a stento un braccio per esplorare la tasca del giaccone, e quando trovo la busta del tabacco ne provo un provvisorio conforto; mi sollevo con le spalle contro la testiera, arrotolo una sigaretta e fumo direttamente sul letto.

Qualcuno troverebbe che lo faccio per punirmi, ma non ho mai avuto fiducia nelle spiegazioni da psicanalisi. La verità è che sono sospeso, legato alla forca a testa in giù, e per forza di cose mi trovo a vedere il mondo alla rovescia.

Fossi Olli, stringerei saldo le redini del mio destino. Fossi Emma, almeno avrei la forza di ripristinare una parvenza d’ordine in questo tugurio; fossi il Capotreno, potrei ritirare tutti i mesi una pensione; tornassi ragazzo, ignaro di quanto possono dolere le giunture e pesare i rimpianti, scapperei da questo posto senza pensarci due volte, sicuro che andare alla ventura è meglio che crepare al rallentatore.

Getto il mozzicone fuori dal letto e, cullato dalla mia autoindulgenza, arrivo a dirmi che sconto un peccato originale. Se appartenessi a qualche genere di minoranza, almeno avrei qualche anima bella che si disturberebbe a consolarmi; invece sono un maschio italiano con le visioni mistiche, spazzatura bianca con la quale non ha senso solidarizzare.

Va a finire che esco dal mio ricovero solo quando le avanguardie delle formiche vengono a insinuarsi fin sotto il piumino sporco di cenere, le guance rigate di pianto come un esaurito all’ultimo stadio.

Mi trascino in bagno, il costato dolorante, e di fronte allo specchio inorridisco come Dorian Gray; mi faccio paura da solo, ma all’inizio non capisco quale sia il punto.

Il labbro gonfio e l’ematoma verdastro che mi traversa la fronte sono il meno, ché nel giro di qualche giorno svaniranno, e pure il mio colorito bigio è figlio della stagione; se mi rimetterò a mangiare in maniera decente e ci darò un taglio col bere, a primavera potrei tornare ad avere un incarnato accettabile.

Poi mi guardo dritto negli occhi, cisposi come quelli d’un gatto di strada, e finalmente realizzo qual è il problema: non resta che una luce fioca, là dentro, e se davvero sono lo specchio dell’anima, la mia dev’essersi fatta opaca e fragile, come se la corda a cui si regge fosse ormai del tutto sfilacciata.

La domenica mattina Milano sembra dimentica delle sue turbe nevrotiche, e appare di nuovo quieta, civile, rilassata.



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