La sovrana by Sconosciuto

La sovrana by Sconosciuto

autore:Sconosciuto [Sconosciuto]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2019-04-29T22:00:00+00:00


CAPITOLO QUARTO

La prima cosa che Saša vide quando aprì gli occhi fu la debole luce di un mattino di ottobre che filtrava dalla finestra, non completamente coperta dalla tenda. Alzò la testa. Le pareti striate di ombre presero a oscillare davanti ai suoi occhi. Lontano, nella foschia della luce mattutina, fluttuava la macchia indistinta di un vestito giallo con un fiore giallo, di un volto femminile. Saša si sollevò sul letto muovendosi con cautela. A pochi centimetri dalla sua spalla Lena dormiva, i capelli arruffati sopra la testa, aveva le occhiaie, il naso insolitamente sottile e diritto – adesso era quasi bella. Saša guardò a lungo la sua bocca socchiusa, uno degli incisivi era un po’ più corto dell’altro, poi vide le sue dita, infilate fra la guancia e il cuscino, erano anch’esse più pallide, più sottili, più spirituali di quando era sveglia. Il suo respiro si sentiva appena, poi si arrestò per un attimo, e una sottile ruga verticale le si formò fra le sopracciglia; ma non si svegliò, anzi chiuse la bocca e si addormentò di un sonno ancora più profondo.

Lentamente, senza far rumore, Saša liberò le gambe da sotto la coperta, posò i piedi sul tappeto e andò alla finestra. Giù, nel cortile, c’era un pozzo, in alto – il cielo e i comignoli delle case; era una giornata limpida, fredda, trasparente. Nel cielo azzurro non c’erano nuvole, sui tetti scintillava il sole. Sempre attento a non far rumore girò la valvola del termosifone: l’acqua cominciò a scorrere nei tubi. Si chiese che ora poteva essere e pensò con angoscia a Ivan, che ormai era sicuramente tornato a casa, e forse russava già. Andò fino al comodino. Il suo orologio era fermo sulle tre e mezzo, la sera prima aveva dimenticato di caricarlo; c’era anche l’orologio di Lena, col cinturino di seta; funzionava, ne sentì l’argentino ticchettio, ma il quadrante era così incredibilmente piccolo che non si riuscivano a distinguere i numeri. Lena continuava a dormire, la testa bionda affondata nei grandi cuscini – la sua testa pesante, la sua testa fervida e appassionata era piena di sogni che lui ignorava. «È mia, mia» bisbigliò in un beato terrore.

Non sapeva che ora fosse, e non aveva idea di dove si trovava, in che angolo di Parigi. Andò di nuovo alla finestra. Era una giornata davvero abbagliante, tutta azzurro e oro, anche se giù, sull’asfalto del cortile, all’ombra, una larga pozzanghera testimoniava della pioggia notturna. Ricordò che il giorno prima, quando era andato dalle Šilovskij, era martedì. Da allora era passato molto tempo. Forse era già una settimana che stava in quella stanza, a guardare il ritratto in giallo fino a sentire male agli occhi, ad ascoltare il respiro di Lena nel sonno?

Giacché non aveva la minima idea di dove si trovasse, ebbe l’impressione di essere lontano, molto lontano, non solo dalla sua casa, da Katja, da Ivan, dall’università, dalla sua vita passata, ma dalla stessa Parigi. Con uno sforzo dell’immaginazione, si raffigurò per un istante la città



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