Lavinia by Ursula K. Le Guin

Lavinia by Ursula K. Le Guin

autore:Ursula K. Le Guin
La lingua: ita
Format: azw3, epub
ISBN: 9788879070980
editore: Cavallo di ferro
pubblicato: 2011-02-07T23:00:00+00:00


Quel pomeriggio la gente uscì dalle fattorie e dalla città per andare in cerca dei propri figli, padri e fratelli, morti sul campo di battaglia. Alcuni portarono a casa i corpi dei propri cari per lavarli, piangerli e dar loro sepoltura. Altri eressero delle pire là dove erano caduti, di modo che alla sera tutti i campi a nord di Laurento riverberavano di fuochi, e una caligine scura offuscava le stelle. I Latini portarono del legname dai boschi e il giorno seguente venne eretta un’immensa pira funebre fuori dalle mura della città per tutti coloro che abitavano troppo lontano da Laurento per essere riportati a casa propria e seppelliti. Arse per tutto il giorno. Il dolore incombeva sulla città, torbido e greve come il fumo.

Ci riferirono che anche i Troiani stavano bruciando i loro morti sulla riva del fiume. Coloro che erano presenti alla cerimonia dissero che per tre volte i giovani corsero intorno alla pira a piedi, per tre volte i cavalieri vi galopparono attorno, mentre i presenti levavano al cielo grida di dolore, e soffiavano in grosse conchiglie. I soldati scagliarono le armi strappate ai nemici nel rogo che consumava i propri cari. Il loro rito funebre era diverso, eppure abbastanza simile al nostro; non vi era nulla di insolito o strano.

I giorni successivi trascorsero in una curiosa e trepida attesa. Nella reggia ed entro le case della città di Laurento le persone si davano da fare ad accudire i feriti; alcuni si ripresero, altri invece perirono. I Troiani non ci fecero avere alcuna ambasciata. Evidentemente erano in attesa della nostra risposta all’offerta di Enea di combattere da solo contro Turno e ripristinare il patto. Ma mio padre non inviò loro alcun ambasciatore. Era incerto sul da farsi, come il suo popolo.

Drance aveva fatto in modo di rendere noto quanto gli aveva detto Enea, e furono in molti, furenti per il dolore, a reclamare, gridando che la guerra era maledetta. Era tutta colpa di Turno che aveva rotto la tregua voluta da Latino. Se Turno reclamava la figlia del re, che fosse lui, solo, a battersi in duello contro il Troiano, che fosse lui, solo, a pagare con la vita, anziché tutti i Latini. Vi erano altri però che, temendo gli stranieri, dicevano che la guerra era la nostra salvezza, poiché i Troiani e i loro alleati erano venuti per invadere il Lazio e che l’unico modo in cui Latino poteva salvarlo era mettendo Turno a capo del nostro esercito per combattere e spazzar via gli invasori.

Quando infine Latino si decise a convocare il consiglio, si respirava il medesimo clima, poiché vi erano due fazioni contrapposte. Ricevettero subito cattive notizie da parte di Diomede, il Greco che aveva fondato una città nel sud del Lazio. Ci eravamo rivolti a lui per chiedere rinforzi, ma egli aveva opposto un perentorio rifiuto. In tono cortese, aveva risposto che dovevamo essere pazzi a portare guerra ai Troiani. — Noi li abbiamo combattuti per dieci anni — aveva detto, — e anche



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