Le donne dei campioni by Beppe Conti

Le donne dei campioni by Beppe Conti

autore:Beppe Conti [Conti, Beppe]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: sport, nodoppi, scan-ok
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Eberardo Pavesi la ricordava come un tipo un po’ strano, sempre vestita da uomo anche fuori corsa, con dei pantaloni alla zuava piuttosto ampi, mai un’ombra di trucco sul volto.

Il Giro di Lombardia del 1917 non era poi così lungo per quei giorni, 204 chilometri, meno di adesso. Partenza e arrivo a Milano viaggiando verso Varese, Como, Lecco e Monza, poche le salite, il Brinzio, la Cicognola. Tanti i campioni al proscenio, e alla fine vinse il belga Thys, al termine di un accanito duello col francese Pelissier.

Sconfitti a capo chino i nostri, soltanto piazzati. E l’Alfonsina si presentò al traguardo un’ora e mezzo dopo il vincitore, verso le 5 del pomeriggio, quando cominciava a far buio. Arrivò con altri due pedalatori; la classificarono all’ultimo posto. La Gazzetta nell’ordine d’arrivo scrisse proprio così: la signora Strada.

L’anno dopo ci riprovò. La guerra nel 1918 era appena finita, forse anche per questo motivo il Giro di Lombardia aveva raccolto pochi iscritti, appena quarantanove e tutti italiani, dunque c’era posto anche per lei, dilettante di seconda serie, anche perché poi in realtà partirono soltanto in trentasei.

Lungo la strada, in una giornata di nebbia e freddo, si fermarono in quattordici. Allo sprint vinse Tano Belloni, che poi non era del tutto un «eterno secondo», come voleva la leggenda. Vinse davanti a Sivocci e Galetti.

Lei, «la regina della pedivella», come cominciavano a chiamarla in tanti, chiuse al ventunesimo e penultimo posto, dopo 23 minuti, prendendosi il lusso di battere allo sprint il comasco Carlo Colombo.

A quel punto non c’erano più dubbi, il sogno per la signora Strada era quello di partecipare al Giro d’Italia. Un sogno più che mai proibito, ma evidentemente è proprio vero che la fortuna aiuta gli audaci.

Nel 1924, in pieno fascismo, la stagione della morte di Giacomo Matteotti, della morte di Lenin, il Giro d’Italia rischiò clamorosamente di non partire. Problemi grossi fra gli organizzatori milanesi della Gazzetta dello Sport e le grandi marche di biciclette, la Bianchi, la Legnano, le altre. Una banale questione di quattrini, un po’ come sta accadendo oggi, all’inizio del terzo millennio, col famigerato Pro Tour.

I campioni dell’epoca, Girardengo e Brunero, Belloni e Bottecchia, chiedevano quattrini d’ingaggio ai loro gruppi sportivi per partecipare alla sfida. E questi, la Bianchi, la Legnano, girarono la richiesta agli organizzatori milanesi, i quali dissero semplicemente di no. Nessun soldo per la partecipazione.

Chi voleva correre il Giro d’Italia doveva dunque farlo a titolo individuale, senza l’assistenza delle case produttrici. Avrebbero pensato a tutto gli organizzatori, compreso vitto e alloggio. Ecco il motivo per cui venne anche diramata sui giornali di quei giorni la lista delle vivande preparata, che destò grande sensazione a quei tempi. E cioè 600 polli, 750 chili di carne, 50 chili di burro, 720 uova, 4800 banane, zabaglioni a volontà e così via.

A leggere quella lista strabuzzarono gli occhi in parecchi, pensando alla fame di quei giorni in un’Italia davvero povera e prostrata.

Ovviamente i campioni di quell’epoca dissero di no alla proposta. E rimasero a casa. Ma il



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