Le storie dei saggi by Elie Wiesel

Le storie dei saggi by Elie Wiesel

autore:Elie Wiesel [Wiesel, Elie]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Garzanti
pubblicato: 2015-11-10T23:00:00+00:00


Prima di concludere questa esplorazione, è forse opportuno ritornare al tema dominante fin dall’inizio: l’animosità che Samuele nutriva nei confronti di Saul. È interessante come essa trascenda ogni considerazione sia personale sia teologica. In effetti, veniva prima di queste. E allora come spiegarla? Perché un messaggero di Dio doveva nutrire risentimento nei confronti di un uomo pure scelto da Dio, sebbene per altri incarichi? Dopo molti mesi di riflessione e di ricerca, credo di essermi imbattuto in un’ipotesi, connessa con problemi linguistici.

Più sopra abbiamo appreso perché Anna diede a suo figlio il nome di Samuele, Shemu’el: perché wa-yitten ha-Shem li et she’elati asher sha’alti me-‘immo, «Dio ha esaudito il mio desiderio», we-gam anoki, «e anch’io», hish’iltihu la-Shem, «l’ho prestato a Dio». L’attenzione viene richiamata sulla ripetizione quasi ossessiva della parola sha’al, che ricorre, in accezioni diverse, per quattro volte nella stessa frase. La parola è chiaramente infissa nella sua mente, e le impedisce di pensare ad altro. Ma allora sorge la domanda: se ella pensa così tanto a sha’al, perché non dà a suo figlio il nome di Saul, Sha’ul? Invece decide di chiamarlo Samuele, che significa qualcos’altro: significa «il Nome di Dio». È forse per questo che il profeta nutre una rabbia profonda verso Saul? Non per avere ricevuto alcuni dei compiti che spettavano a lui – come per esempio muovere guerra –, ma anche e soprattutto per avere usurpato il suo nome?

Quanto a noi, lettori e studenti di racconti biblici, è nostro dovere accettare l’idea che sia il re sia il profeta abbiano un proprio posto nella nostra memoria collettiva. Chi è il più umano tra i due? Samuele, che comunica il volere di Dio nella storia, o Saul, le cui cure sono più rivolte al presente? Per Samuele la questione è semplice: Dio vuole che tutti gli amaleciti siano uccisi, tutti quanti, senza eccezione. Per Saul, uomo di violenza e di sangue, che ha visto i propri soldati uccidere e venire uccisi, la morte non è un’astrazione. Certo, Agag è un amalecita, ma è anche un essere umano. Saul è contro la colpevolezza e il castigo collettivi? No. Aveva ordinato che venissero giustiziati i falsi sacerdoti, gli stregoni e le negromanti. E allora perché ha scelto Agag tra tutti per mostrargli compassione? Forse per un impulso improvviso a permettere a Samuele il profeta di agire come Saul il re? O forse per lui era un modo di sfidare l’Onnipotente, come a dire: «Signore dell’universo, tu vuoi che io uccida quest’uomo: dimmelo di persona, senza intermediari, e sarà fatto»?

Ma Dio non parlò mai a Saul. Parlò a Samuele, che sentì una voce e non si rese conto che era quella di Dio.

È questa una delle lezioni che possiamo trarre da questo racconto? Che è possibile che Dio ci parli senza che noi lo sappiamo?

Per parafrasare Rabbi Pinchas di Koretz, le domande restano domande: ma noi dobbiamo continuare.



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