Letteratura latina by Unknown

Letteratura latina by Unknown

autore:Unknown
La lingua: ita
Format: epub
editore: Hoepli
pubblicato: 2019-08-31T16:00:00+00:00


Persio (Aulus Persius Flaccus; 4 dicembre 34 - 24 novembre 62)

È in tutt’altro ambiente, più vicino a Seneca e a Lucano, che ci introduce il poeta Persio. Era originario di una famiglia equestre di Volaterrae (Volterra) in Etruria; una famiglia ricca ma di costumi austeri, e molto attaccata alle grandi tradizioni della nobiltà etrusca: si guardi il praenomen del poeta e si pensi, nella stessa epoca, agli studi di etruscologia del futuro imperatore Claudio.

Persio morì a ventotto anni e ci dà solo la possibilità di parlare dei suoi maestri: il grammatico Remmio Palemone (p. 232), il retore Virginio Flavo, e soprattutto il filosofo L. Anneo Cornuto (p. 252). Cornuto non era forse una grande mente, ma era un buon professore, dotato di solide convinzioni, che seppe legare a sé durevolmente il suo allievo e farne un adepto entusiasta dello stoicismo. È grazie a Cornuto che Persio conobbe Lucano, ed è nell’ambiente stoico che poté incontrare e ammirare Trasea Peto, che sarebbe diventato il capofila dell’opposizione al regime neroniano.

Il giovane Persio si era già cimentato in diversi generi poetici, quando la lettura del libro X delle Satire di Lucilio (p. 62) gli indicò la via. Decise quindi di scrivere Satire; sono sei e furono composte negli ultimi tre anni di vita. Tutta l’opera di Persio sta in questo scarno libriccino: 650 esametri accompagnati da un breve componimento di 14 coliambi, o giambi scazonti, con funzione probabilmente di prologo.

La satira I è, com’è d’obbligo, una satira programmatica; la si può paragonare opportunamente alla prima satira di Giovenale. Persio vi definisce la sua concezione della satira e della poesia in generale: rifiuta la mollezza del gusto ellenizzante, lo snobismo delle recitationes, l’enfasi dell’eloquenza, le sottigliezze di una versificazione troppo dotta. Si rifà al classicismo e anche agli antichi poeti della Repubblica, quali Accio, Pacuvio, Lucilio.

Le satire successive espongono, ognuna, un’idea fondamentale della morale stoica.

La satira II è una riflessione sulla preghiera; come pregare la divinità in modo onesto e pio? La risposta, perfettamente ortodossa, è che gli dei sanno quel che conviene agli uomini, e che un cuore puro vale più di ricche offerte.

Le satire III e IV hanno valore «protrettico». Così, nella satira III, il poeta afferma che bisogna dedicarsi allo studio della filosofia fino a che non si sia acquisita la sapienza che, sola, può darci la felicità. I versi 66-72 schizzano un vero programma di studi stoici, comprendente la fisica, la morale dogmatica e la «parenesi»: si pensi a Seneca, Lettere a Lucilio, 94-95. La satira IV sviluppa il tema del «Conosci te stesso». Socrate dimostra ad Alcibiade che ha torto a volersi dedicare alla politica senza avere una conoscenza precisa del sommo bene; quindi la satira contrappone l’abitudine a formulare giudizi severi che spesso diamo sugli altri all’opinione compiaciuta che abbiamo di noi stessi.

La satira V è una lettera che il poeta indirizza al suo maestro Cornuto per esprimergli il suo affetto e la sua gratitudine; poi mostra che ha tratto molto profitto dalle sue lezioni, esponendo la teoria, cara agli stoici, della libertà.



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