Lo Statuto albertino by Giorgio Rebuffa
autore:Giorgio, Rebuffa [Rebuffa, Giorgio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, L'identità italiana
ISBN: 9788815229793
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2011-10-14T22:00:00+00:00
Il proclama non fu senza effetti, perché riuscì a portare alle urne una gran massa di elettori (58 mila su 87 mila aventi diritto) con risultati, ovviamente, favorevoli al governo del re. Nonostante il raggiungimento del risultato politico, continuarono ad alzarsi, anche in quei giorni, richieste di revoca della Carta ed invocazioni di chi sognava un ritorno puro e semplice allâassolutismo. In realtà il proclama di Moncalieri corrispondeva agli spiccati gusti autoritari del sovrano ed esprimeva il suo personale fastidio per gli impacci costituzionali. Ma, allo stesso tempo, quasi paradossalmente, lo Statuto era salvo e fu grande merito degli uomini politici piemontesi, anche di dâAzeglio, che aveva in qualche modo ispirato il proclama di Moncalieri, aver saputo resistere a chi chiedeva la soppressione della Costituzione. Anche perché negli anni successivi il sistema parlamentare avrebbe trovato ragioni e terreno di espansione. Lo Statuto fu salvato, ma esaltandone più la funzione simbolica che la valenza di meccanismo costituzionale. Fu salvata la Carta e fu tenuta aperta la strada verso il governo parlamentare. Ma si dovette consentire un intervento del sovrano, che divenne più regola che eccezione.
Tutti i protagonisti del processo di unificazione, con lâeccezione di Mazzini, furono da questo momento consapevoli che lo Statuto albertino, per quanto unilateralmente «concesso», era un compromesso e nessuna delle parti che avevano concorso alla sua formazione ne era davvero soddisfatta. Era però meglio lasciarlo come documento aperto, da riempire in seguito, quando fossero sopravvenute occasioni e mutate «circostanze» nei rapporti politici. Questo atteggiamento realistico aveva in Cavour il suo uomo di punta, ma era comune alla classe dirigente piemontese. Lo Statuto, con i suoi equilibri mal definiti tra il parlamento, il governo, il re e con i suoi chiaroscuri, con le sue ambiguità normative, non era né parlamentare né antiparlamentare; era una «tessitura aperta» che doveva essere imbastita. Era una «opportunità » che doveva essere mantenuta a tutti i costi. Questa consapevolezza riuscì a diventare senso comune di tutte le correnti del movimento nazionale italiano, quasi una formula propagandistica. Così, efficacemente, si esprimeva nel 1851, Giorgio Pallavicino-Trivulzio:
Armi occorrono, e non ciance mazziniane. Il Piemonte ha soldati e cannoni: dunque io sono piemontese... E me ne sto pago allo Statuto di Carlo Alberto, aspettandone il perfezionamento avvenire, non dalla volontà degli uomini, ma dalla forza delle cose[2].
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