L'uomo di Pietroburgo by Ken Follet

L'uomo di Pietroburgo by Ken Follet

autore:Ken Follet [Ken Follet]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Arnoldo Mondadori Editore
pubblicato: 1993-08-14T22:00:00+00:00


PRINCIPE A.A. ORLOV

Hotel Savoy Strand

Londra

Piegò il foglio di carta bianco e lo infilò nella busta, perché non fosse troppo leggera: la busta non doveva sembrare vuota. Leccò il lembo di carta gommata e chiuse la busta. Poi, con riluttanza, prese la valigia e uscì dalla banca.

In Trafalgar Square immerse il fazzoletto nella fontana e se lo passò sul viso.

Oltrepassò la stazione di Charing Cross e si diresse a est lungo il Tamigi. Vicino al ponte di Waterloo un gruppetto di ragazzini stava appoggiato al parapetto, a tirar sassi nel fiume. Feliks si rivolse a quello dall’aria più sveglia.

«Vuoi guadagnarti un penny?»

«Certo, signore!»

«Hai le mani pulite?»

«Certo, signore!» Il ragazzo esibì un paio di mani luride.

Dovranno andar bene lo stesso, pensò Feliks. «Sai dov’è l’Hotel Savoy?»

«Certo, signore!» Feliks gli diede la busta e un penny. «Conta lentamente fino a cento, poi porta questa lettera all’albergo. Capito?»

«Certo, signore!»

Feliks salì gli scalini che conducevano al ponte. C’era una folla di uomini in bombetta che arrivavano dal lato della stazione di Waterloo. Feliks si unì al flusso.

Entrò da un giornalaio e comprò una copia del “Times”. Mentre stava per uscire, arrivò un giovanetto aprendo di colpo la porta. Feliks tese un braccio e lo fermò gridandogli: «Guardi dove va!».

L’uomo gli lanciò un’occhiata stupita. Mentre usciva, Feliks lo udì che diceva al giornalaio: «Tipo nervoso, eh?».

«Straniero» ribattè il giornalaio.

Feliks girò nello Strand ed entrò nell’albergo. Si sedette nell’atrio e mise la valigia fra le gambe.

Dalla sua posizione poteva vedere sia l’entrata che il banco del portiere. Infilò la mano all’interno del cappotto e consultò un immaginario orologio da taschino, poi aprì il giornale e si mise a sfogliarlo con l’aria di chi è arrivato in anticipo a un appuntamento.

Si tirò la valigia più vicina e allungò le gambe per proteggerla da un eventuale calcio tirato per sbaglio da una persona di passaggio. L’atrio era affollato: mancava poco alle dieci. Questa è l’ora in cui la classe dirigente fa colazione, pensò Feliks. Lui non aveva mangiato: non aveva fame, quel giorno.

Osservò la gente al di sopra del giornale. C’erano due tipi che potevano essere dei poliziotti. Feliks si domandò se avrebbero potuto impedirgli la fuga. Ma, rifletté, se anche avessero potuto udire l’esplosione, come avrebbero fatto a sapere chi, fra le decine di persone che si trovavano nell’atrio, ne era il responsabile? Nessuno conosce il mio aspetto. Solo se mi stessero ricercando lo conoscerebbero. Devo accertarmi di non essere ricercato.

Si chiese se il ragazzino sarebbe arrivato. Dopo tutto, aveva già intascato il penny. Forse a quell’ora aveva gettato la busta nel fiume e si era diretto alla più vicina pasticceria. In tal caso, Feliks non avrebbe fatto altro che rifare tutta la trafila finché non avesse trovato un ragazzino onesto.

Lesse un articolo del giornale, senza tuttavia smettere di tenere d’occhio la porta. Il governo voleva far pagare i danni prodotti dalle femministe a chi sovvenzionava l’Unione sociale e politica delle donne. Si proponeva una legge speciale per rendere possibile questo progetto. A quale stupidità arrivano i governi,



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