Mani by Patrick Leigh Fermor

Mani by Patrick Leigh Fermor

autore:Patrick Leigh Fermor [Leigh Fermor, Patrick]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2020-01-23T16:00:00+00:00


Non restammo sorpresi quando il nostro ospite, pescando e stappando la seconda bottiglia mentre la luna subentrava al sole, accennò che secondo «i vecchi» – sempre questo metter le mani avanti! – quel fontanile era frequentato dalle nereidi. Il posto era senz’altro adatto. Dopo Caronte e la misteriosa creatura chiamata kallikantzaros, le nereidi sono gli esseri soprannaturali superstiti del mondo antico nominati più spesso nelle campagne greche. Sebbene alcune possano essere – specialmente nel Mani – creature marine, nel complesso sembra che esse si siano trasferite nell’entroterra diventando creature d’acqua dolce che abitano remoti corsi d’acqua, sorgenti, fontane, umide grotte, fiumi e torrenti montani, e a volte le gore dei mulini, soprattutto se il mulino è in rovina. Impossibile dire quando avvenne questa migrazione; forse si tratta solo di un cambiamento di nome, ma le nereidi hanno usurpato l’egemonia delle antiche naiadi e altresì delle driadi e delle oreadi. Hanno ereditato il ruolo generico delle ninfe. Vestono di bianco e oro e sono di una bellezza ultraterrena. Stranamente, non sono immortali: vivono un migliaio d’anni. Ma sono di una sostanza diversa e più rara di quella dei comuni mortali, e in certo modo semidivina. La loro bellezza non sfiorisce, e non sfiorisce l’incanto e la seduzione della loro voce. Sono cuoche meravigliose e abili tessitrici di stoffe delicatissime e diafane.«Cucinato da una nereide», «tessuto da una nereide»: queste una volta erano comuni espressioni di lode. Un leggero ed etereo rampicante che addobba gli alberi in alcune regioni della Grecia è detto«filatura di nereidi». Viene alla mente la grotta dove approdò Odisseo tornato a Itaca e i «grandi telai di pietra dove le ninfe tessono manti purpurei come il mare, meravigliosi a vedersi».

Queste nereidi sono lascive e volubili, raramente capaci di una passione durevole. Ma il male che fanno è per lo più involontario, causato da una congenita inettitudine alla fedeltà e alle docili virtù domestiche. Puniscono col mutismo, la cecità o l’epilessia chi interrompe i loro festini. Spesso si innamorano alla follia di mortali, giovani e audaci specialmente, e abili danzatori e suonatori di flauto e di lira, e li portano nelle loro dimore acquatiche e sulle aie dove talvolta danzano. I giovani pastori solitari sono particolarmente esposti a questi pericoli. «Non salire all’albero solitario,» dice una canzone isolana «e non scendere in pianura, non suonare il flauto sulle rive del fiume vicino alla sorgente, perché le nereidi, trovandoti solo, non ti si affollino intorno». Ci sono molte storie di pastori e di principi che si innamorano di loro. Quando avviene il contrario, il giovane straniero inebetito è trasportato in una grotta segreta e stretto in un abbraccio appassionato, e la nereide vola via sul vento al terzo canto del gallo. Ma, con poche eccezioni, il loro ardore vien meno davanti a quello degli amanti. Se una nereide non vuol cedere a un mortale, il segreto del successo (secondo una leggenda) è impadronirsi del suo velo. La nereide si tramuta in forme terribili, di leone, di serpente, e da ultimo



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