Maruzza Musumeci by Andrea Camilleri

Maruzza Musumeci by Andrea Camilleri

autore:Andrea Camilleri [Camilleri, Andrea]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
pubblicato: 2011-12-15T07:24:16+00:00


Si rimise dritta, allargò le vrazza, chiuì l’occhi, fici un giro lento lento supra a iddra stissa.

«E unu».

Secunno giro.

«E dù».

Terzo giro.

«E tri».

Raprì l’occhi, taliò dintra alla bacinella, disse:

«Mascolo è!».

Gnazio vitti tutto farisi scuro scuro e sbinni arruzzuliannosi scala scala. Per picca non si rumpì l’osso del coddro.

Al momento di ghirisinni, la gnà Pina spiò a Maruzza:

«Voi che lo dico a tò catananna?».

Gnazio pinsò allura che era dal jorno del matrimoniu che Minica non si faciva vidiri. Meglio accussì.

«Diciticcillo» arrispunnì Maruzza.

Ma l’indomani a sira la gnà Pina portò la risposta della catananna:

«Se era fìmmina vinivo, ma per un mascolo non mi catamino».

Ma come? Arriversa ora ammagliavano i pisci? Non con la vucca ma con la cuda?

Non si era sempri saputo che un figlio mascolo viniva a diri ricchizza della casa?

Mentri ‘na figlia fìmmina valiva picca e nenti? Ma come arraggiunava quella vecchia stolita?

Appena principiò il cangio di stascione, Maruzza avvirtì a sò marito:

«Massimo tra tri jorni mi devi fari inchire le cisterne».

Gnazio s’accordò con un altro vicino che si chiamava Timpanaro e che aviva un carretto.

«Però aiu di bisogno a uno che m’aiuta» disse Timpanaro.

«Va beni».

«Mi porto a mè frati Giurlanno».

Quanno Maruzza gli disse che aviva di bisogno dell’acqua il jorno appresso, Gnazio, doppo aviri avvirtuto a Timpanaro, addecise di dari ‘na puliziata alle cisterne. Accomenzò dalla secunna. Pigliato un cato chino d’acqua, si calò difficoltoso dintra alla cisterna, livò dal funno le foglie e dù lucertole morte, ci sbacantò il cato. Doppo passò alla prima cisterna e fici le istesse cose. C’erano foglie e tri scrafagli morti. Ma mentri stava per ghittare supra al funno il cato con l’acqua, s’addunò che dal pirtuso che sirviva a sbacantare la cisterna, sporgiva ‘na cosa bianca. Si calò, la pigliò. Era un osso granni, bastevolmente frisco e completamente sporpato. Dovivano essiri stati i surci a portarlo là dintra. Stette a considerarlo tanticchia, circanno di capire a quali armàlo potiva appartinire. Non ci arriniscì e lo ghittò.

8

Quattro nascite, una morte e la casa che cresce

A otto misi la panza di Maruzza pariva un tammuro. Gnazio la sira, quanno si corcavano, appuiava l’oricchio supra alla panza di lei e ascutava sò figlio che si cataminava e tirava càvuci come un puletro.

«Dato che è mascolo, che nome ci voi mettiri?» gli spiò Maruzza ‘na simanata prima del tempo dello sgravamento.

«Mittemocci il nome di tò patre».

«No. Attocca mittiricci quello di tò patre. Come si chiamava?».

«Cola. Ma…».

«Nenti ma. Si chiamerà Cola».

A Maruzza l’acque si rompero che per fortuna c’era prisenti la gnà Pina.

A un certo momento Maruzza si misi a lamentiarisi e Gnazio, non riggenno, sinni scappò nella trazzera cchiù luntano che potiva. Po’ s’assittò supra ‘na petra e ristò accussì fino a quanno non si sintì chiamari dalla gnà Pina tutta cuntenta:

«Gnazio! Unni siti? Veniti ccà che vostro figlio vi voli!».

Cola Manisco nascì all’arba del primo jorno del primo misi del milli e novicento.

«Prena novamenti sugno» fici Maruzza ‘na sira che si stavano corcanno.

Erano passati tri anni dalla nascita di Cola.

Il quali Cola ‘ntanto era addivintato un picciliddro che una ne faciva e cento ne pinsava.



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