Non sono un assassino by Francesco Caringella

Non sono un assassino by Francesco Caringella

autore:Francesco Caringella
La lingua: ita
Format: epub
editore: Newton Compton editori
pubblicato: 2014-10-09T16:00:00+00:00


Ventitré

Il furgone varcò un ingresso laterale del Palazzo di Giustizia per depistare la folla di giornalisti e curiosi già assiepata davanti al portone principale.

Il finestrino socchiuso del blindato fu invaso dall’aroma del primo caffè del mattino. Un profumo intenso di garofani mi informò che eravamo nelle vicinanze di un mercato di fiori. La primavera aveva imposto i suoi odori e il suo potere con cinque giorni di anticipo rispetto al calendario ufficiale. Avrei pagato qualsiasi cifra per conquistare cinque minuti di libertà, per camminare in mezzo a quelle fragranze e gustarmi un espresso con un quotidiano tra le mani. Poi sarei risalito a bordo del furgone per affrontare il mio processo.

La vettura si fermò nell’ampio piazzale interno. Ne scesero due guardie penitenziarie che mi consegnarono ai carabinieri in servizio presso il tribunale. Il capo della scorta, un giovane ufficiale dal corpo magro chiuso in un’uniforme troppo grande, mi informò che mi avrebbero trasferito in una saletta del primo piano, attigua all’aula della Corte d’Assise dove avrei atteso l’inizio del processo.

Seduto sulla panca della stanza dalle pareti grigie e male illuminate, sentivo il rumore crescente che proveniva dall’aula d’udienza. Prima voci isolate, poi un chiacchiericcio più deciso, quindi un baccano scomposto da sagra paesana. Un cicaleccio prodotto da suonerie di cellulari, da risate isteriche, da porte che sbattevano, da voci alterate. Pareva che tutti si conoscessero: sguardi d’intesa, strette di mano, mezze parole sussurrate. Attraverso i muri spessi filtrava, inconfondibile, l’eccitazione di una festa nella quale io sarei stato l’attrazione principale. Si respirava il senso universale dell’attesa.

Alle nove in punto il gran momento giunse. Il capo scorta mi invitò a seguirlo e, aiutato da due militari, mi condusse, con passo lento, nell’aula dove si sarebbe deciso il mio destino. Era una stanza dalle spesse pareti bianche e dal soffitto alto, di una solennità fascista.

Tutti gli sguardi erano puntati su di me. Ero un pesce in una vasca di vetro: migliaia di occhi mi spogliavano, avidi.

Erano notti che non chiudevo occhio e mi sentivo uno zombi.

Sentii gocce di sudore accumularsi sulle sopracciglia.

Rovistai tra quelle facce. Ero un calciatore in trasferta in uno stadio nemico, che cerca invano il volto affettuoso di un tifoso. Nulla. In nessuno di quegli occhi eccitati dalla voluttà che provoca nell’animo umano la visione delle disgrazie altrui brillava una luce amica. Solo freddo e ghiaccio. Quegli sguardi erano l’annuncio di una sentenza di condanna.

Dalla mia parte c’era solo Giorgio, seduto vicino a me, avvolto nella sua toga. Quel ragazzone con i capelli ricci neri, che accarezzava la folta barba scura con la cautela affettuosa di chi coccola un neonato, era la mia unica speranza di salvezza. Durante gli anni della scuola lui si era sempre appoggiato a me per tirarsi fuori dai guai nei quali si cacciava con un fiuto da segugio. Ora toccava a me chiedere il suo aiuto. Sapevo che avrei dovuto combattere una guerra con armi non convenzionali, ricorrendo, in caso di necessità, anche ad aiuti esterni e non necessariamente ortodossi. Il mio processo sarebbe stato in salita: non potevo permettermi il lusso del rispetto delle regole.



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