Numero 1 by Gianluigi Buffon

Numero 1 by Gianluigi Buffon

autore:Gianluigi Buffon [Buffon, Gigi]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2008-07-14T22:00:00+00:00


8

La ciliegina sulla torta

Se fai uno sbaglio nella Juve vale doppio

Perché ho accettato di venire qui?

Col Chievo abbiamo vinto, ma ho fatto un erroraccio sul gol di Marazzina. Con la Roma invece niente sconti: 2-0 per loro – e io non sono stato impeccabile su Batistuta – e tutti a casa. Anzi no, a casa ci siamo già, questo è il punto. Soprattutto io non sono io, Gigi Buffon. Lo stadio è lontano, grande e freddo. Fuori c’è Torino che negli anni ho visto cambiare in meglio, ma che non è Parma; la mia Parma, dove mi posso muovere tranquillo; la mia Parma da percorrere in Vespa, dove a ogni angolo delle vecchie strade incontro facce amiche. No, Torino non era così, specialmente all’inizio, specialmente per chi ha mollato il numero 77 per il numero 1, per chi è in mezzo al guado nel suo percorso dal sentimento alla professionalità.

Perché all’inizio la Juventus è stata la scelta del professionista, non quella del cuore. Perché ora il professionista e l’uomo capace di emozionarsi nell’indossare una maglia sono la stessa persona, ma allora la sovrapposizione non c’era, era imperfetta, alcune parti di me restavano fuori dal quadro. Allora la mia personalità non era ancora formata.

Ricordo un episodio che ancora mi fa male. Una brutta figura.

Fu durante un Parma-Bologna. Feci una brutta entrata su un attaccante del Bologna, Pierpaolo Bresciani. Lui si fece male, uscì in barella. Nei giorni successivi, pensai tanto a lui e mi chiedevo se dovessi telefonargli. «Lo faccio o non lo faccio?» Magari, riflettevo, è arrabbiato con me e non gli va di sentirmi. Per cui non feci mai il suo numero. Un anno dopo lo incontrai a Venezia, dove si era trasferito. Lui non serbava rancore. Però mi confessò: «Mi aspettavo che mi chiamassi. Da un altro avrei accettato questa mancanza di delicatezza, ma tu sei diverso».

Mi vergognai molto.

Io ero così, in quegli anni. Ero un ragazzo che aveva bisogno di crescere e lo faceva con le risorse del suo carattere. Estroso ai limiti dell’arroganza. Non lasciavo passare niente, la battuta era sempre lì, pronta, sulla punta della mia lingua.

Una volta, a Mosca, da giovane portiere in carriera venne a intervistarmi una giornalista russa. Com’era? Se non lo so più vuol dire che non mi fece una grande impressione. Però ricordo perfettamente la domanda che mi fece.

«Come vivi il fatto che puoi diventare il secondo portiere più bravo della storia dopo Lev Yashin?»

«Dove sta scritto che io debba essere il secondo e non diventare migliore di lui?» ribattei con prontezza.

Lei fece una risatina, convinta che la mia fosse una battuta. Poi si rese conto che non lo era affatto.

«Guarda che forse è meglio che questa risposta non la scriva.»

Io la misi in difficoltà: «Fai come vuoi, ma è quello che penso e quello che ho detto».

Non credo che ora sarei il portiere della Juve o della Nazionale se fossi diverso da com’ero. Se fossi stato più umile e non fossi mai uscito dalle righe.

Come arrivai lì, anzi qui?



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