Odessa: Splendore e tragedia di una città di sogno by Charles King

Odessa: Splendore e tragedia di una città di sogno by Charles King

autore:Charles King [King, Charles]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858410882
editore: Einaudi
pubblicato: 2014-09-23T22:00:00+00:00


Figura 21.

Il primo ministro di Israele Ariel Sharon fa un discorso di fronte alla fotografia del padre spirituale della destra politica israeliana, Vladimir Ze’ev Jabotinskij, durante un congresso del partito Likud a Tel Aviv nell’agosto 2004.

(Foto Pedro Ugarte / AFP / Getty Images).

Jabotinskij fu il fondatore di un’organizzazione giovanile, il Betar, che si ispirava piú agli estremisti europei di destra che al socialismo comunitario dei kibbutz. I suoi primi scritti rispecchiano un’incredibile incoerenza. Nella corrispondenza era pedante, spesso insofferente e suscettibile a ogni minimo torto e affronto. La sua scelta degli alleati era dettata da questioni di principio o da simpatie opportunistiche e spesso sconfinava in prese di posizione inquietanti. Il sionismo e il fascismo italiano avevano molti elementi in comune, scrisse a Benito Mussolini nel 1922, aggiungendo che «il movimento che Lei rappresenta e la Sua personalità mi interessano immensamente»29.

In ultima analisi, con il suo contributo (se cosí possiamo chiamarlo) Jabotinskij si fece paladino della causa sionista, ma nello stesso tempo la banalizzò. Al centro del suo pensiero c’era il concetto di hadar, una parola ebraica che significa rispetto e stima di sé, una virtú che, secondo lui, mancava sia agli ebrei con le palandrane nere dello shtetl sia ai loro correligionari «illuministi». Inculcare l’hadar significava semplicemente portare nelle comunità ebraiche lo stile attivamente «nazionale» che gli italiani chiamavano italianità e i tedeschi Deutschum: l’orgoglioso desiderio di incarnare l’essenza della razza, dell’etnia o della nazionalità. Da questo punto di vista, secondo lui, nel nazionalismo ebraico non c’era nulla di particolare, a parte il fatto che era rimasto per troppo tempo schiacciato dagli imperi e negato dagli stessi ebrei, che si rivolgevano piuttosto alla religione tradizionale, all’integrazione culturale o a un ingenuo socialismo, come alternative di ripiego alle ambizioni nazionali frustrate. «Ho imparato a essere un sionista dai gentili», scrisse nel 1934. Il sionismo non significava trovare una consolazione o «un sostegno morale» che potesse aiutare un popolo afflitto, e ancora meno realizzare un piano provvidenziale. L’idea di essere il popolo eletto da Dio era l’oppio delle masse, un ostacolo al nazionalismo ebraico e non la sua essenza divina. Creare una patria per gli ebrei era la naturale conseguenza dell’idea stessa di nazione ebraica, non differente, nei principî, dall’obiettivo perseguito da altri movimenti nazionali europei30.

Non è difficile vedere la particolare influenza dell’ambiente di Odessa sulla filosofia nazionalista di Jabotinskij. Se qualsiasi altro gruppo di Odessa aveva finito per trovare la sua piú alta espressione nel nazionalismo e nell’indipendenza (i greci intorno al 1820, gli italiani nel 1860 e anche gli ucraini e i russi, i quali, quando il vecchio Impero fu sul punto di vacillare, erano alla ricerca di qualcosa di simile), perché non l’avrebbero potuto fare gli ebrei? L’unico elemento che li distingueva dai loro vicini, pensava Jabotinskij, era una questione di coinvolgimento: la loro generica riluttanza a lottare contro altri legittimi movimenti nazionalisti i cui obiettivi erano opposti ai loro. Jabotinskij in questo senso era «un ultranazionalista cosmopolita», come scrisse uno dei suoi biografi31. Considerava i gruppi nazionali il nucleo essenziale della società mondiale.



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