Orphan X by Gregg Hurwitz

Orphan X by Gregg Hurwitz

autore:Gregg Hurwitz [Hurwitz, Gregg]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, Thrillers, General, Technological, Espionage, Action & Adventure
ISBN: 9781491552858
Google: 2UhFDAAAQBAJ
editore: BOOKME
pubblicato: 2016-06-12T22:00:00+00:00


25

Un certo tipo di affari

Era buio pesto quando Evan arrivò a Northridge, la luna bucava il cielo come il foro di un proiettile. Raggiunse la zona industriale vicino a Parthenia attraverso un labirinto di stradine. C’erano costruzioni grosse e basse ovunque, simili ai capannoni degli studi cinematografici.

La Taurus procedeva lenta. In fondo alla strada deserta brillava una luce fioca. Era un lampione in stile vittoriano che spuntava da un cespuglio di begonie. In cima al lampione, al posto della lampada, c’era un’insegna illuminata, su cui era scritto in caratteri antichi RESTAURO LOCANDINE E MANIFESTI ANTICHI.

Parcheggiò e suonò il citofono. La porta si aprì con uno scatto. Le pareti color pervinca dell’ingresso erano ricoperte di manifesti italiani degli anni Quaranta. Un’altra porta, un altro citofono e finalmente arrivò nel grande laboratorio.

Le scaffalature industriali erano stipate di barattoli di vernice, solventi, pennelli di precisione, coltelli da pittore, taglierini di varie misure, tele di ogni tipo, fogli di Mylar e altri materiali per il restauro dei manifesti. Gli operai lavoravano chini su tavoli con le rotelle, indossando cuffie o auricolari per ascoltare la musica. Avevano tutti occhiali da vista. Uno di loro stava trattando un vecchio poster del Giorno dello sciacallo con una pressa di ferro del XIX secolo. Un altro spruzzava dell’insetticida sopra una locandina di M, mentre un collega toglieva una piccola macchia usando una spugnetta e del sapone Orvus, un detergente non profumato impiegato sugli animali da allevamento e nel restauro. Terminato il lavoro, i due operai spostarono velocemente il manifesto sopra un tavolo aspirante, per eliminare rapidamente l’umidità.

«Evan! Vieni a vedere!».

Il caschetto nero di Melinda Truong spuntò tra le teste chine di un gruppo di operai. La donna gli fece cenno di avvicinarsi. Prima di raggiungerla, Evan gettò uno sguardo a un televisore sintonizzato sul telegiornale, per controllare se per caso stessero accennando all’esplosione di quel giorno al motel. Ma l’annunciatore stava parlando di un senatore scomparso.

Gli operai gli fecero spazio. Melinda gli prese il viso tra le mani e gli diede due baci sulle guance, quasi all’angolo delle labbra. Indossava una maglia attillata, pantaloni da yoga e un paio di scarpe da ginnastica arancioni. Dietro l’orecchio teneva un pennello sottilissimo, con l’impugnatura foderata di nastro adesivo rosa. In vita portava una cintura con una fondina, da cui pendeva un aerografo Olympos, anche quello foderato con il nastro adesivo rosa, che assomigliava a una pistola laser. Era l’unica donna lì dentro, e personalizzava i suoi attrezzi in modo che gli altri operai non li usassero quando lei non c’era.

Lo prese per mano e indicò il tavolo di lavoro.

«Questa povera ragazza è stata sottratta dalla teca di un cinema di Parigi. È rimasta segregata in un magazzino umido per anni, dopo la guerra. E poi l’hanno rinchiusa in un baule. È arrivata qui in condizioni disperate».

Evan abbassò lo sguardo e vide Ginger Rogers in Le schiave della città. La locandina, piena di pieghe e strappi, era pressata tra due fogli di Mylar. «Poverina» commentò.

«Avresti dovuto vederla prima che ci mettessimo le mani.



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