Padre Padrone by Gavino Ledda

Padre Padrone by Gavino Ledda

autore:Gavino Ledda [Ledda, Gavino]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Narrativa italiana
ISBN: 9780893960032
editore: Euroclub
pubblicato: 1979-01-01T23:00:00+00:00


Sia da quello che riuscii a sapere in paese sia dal fatto che i cani non abbaiarono mai, bisogna dedurre che responsabile del fatto era la famiglia stessa. E la cosa più assurda era che il fuoco divampava sotto gli occhi del patriarca sullo spiazzo a fucile spianato in cerca dei piromani o comunque dei responsabili. Con particolari accorgimenti, con corde che si accendevano o con candele poste nei punti meno impensati quando si consumavano davano fuoco quasi ad orario stabilito: quando il patriarca si trovava ad avere la famiglia tutta immersa nel sonno. In tali frangenti non pensò che responsabile fosse la famiglia. Sarebbe stato come perdere la sua dignità. E poi non poteva pensare a una simile soluzione, convinto come era di esercitare una autorità assoluta sulla famiglia. Più tardi forse ci avrà pensato, ma per allora fece più o meno questo ragionamento: “Soliti dispetti dei vicini invidiosi di quello che ho fatto: del raccolto… delle pecore… me le volevano bruciare nel recinto. Ormai la famiglia bene o male l’ho cresciuta. Stando così le cose, è venuta l’ora di vendere tutto e ritornare in paese. Il bestiame prima che me lo rubino davvero me lo vendo, cazzo! I soldi me li metto in banca, cazzo! Ehee! Lì non me li bruciano! Il mio lavoro non se lo tracanna un miserabile che non l’ha sudato, cazzo!” D’altra parte doveva mettere al riparo il gruzzolo per la sua vecchiaia e agì a mente calda. Con il suo solito fare titanico incominciò l’opera di demolizione senza accorgersi che stava distruggendo il suo regno: in un solo giorno a Baddhevrùstana distrusse e abbandonò quanto vi aveva fatto nella sua vita scardinando porte e quanto c’era per portare tutto a Sìligo. Vi lasciò solo i muri e lasciò Baddhevrùstana sprezzando le sue “creature morte”.

Con questo stratagemma la famiglia riuscì abilmente a far passare per abituale “dispetto pastorale” una cosa che aveva architettato contro il suo tiranno per far cessare una situazione che non poteva più sopportare e che ormai non era più giustificata. E per fortuna riuscirono a snidare il loro padrone dalla tana in cui sicuramente sarebbe rimasto ancora per molto: era il terreno su cui gli era più facile esercitare il suo comando e probabilmente avrebbe preferito morirvi da re.

Quando seppi esattamente come erano andate le cose fui colpito da un solo fatto: dal coraggio dei miei fratelli.

Io allora non sarei riuscito a fare simili cose. La chimera patriarcale avrebbe soffocato ogni tentativo sul nascere.

Eppure la mia partenza dopo soli tre mesi aveva rotto completamente l’equilibrio gerarchico su cui la famiglia aveva sempre ruotato a senso unico e sicuramente la rivalsa e la vittoria dei miei fratelli fu il frutto delle mie sconfitte e della mia annosa soggezione all’autorità patriarcale: nell’inconscio dei miei fratelli fu come se mi avessero vendicato.

Finita la licenza, il primo periodo in cui durante la mia vita ebbi l’occasione di giocare (e che bene o male mi aveva offerto l’esercito), la naja continuò regolarmente.

Come tutti i compagni di corso ritornai alla Cecchignola.



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