Patagonia express by Luis Sepúlveda

Patagonia express by Luis Sepúlveda

autore:Luis Sepúlveda [Sepúlveda, Luis]
La lingua: ita
Format: epub
editore: TEA
pubblicato: 2011-05-14T22:00:00+00:00


Un giorno di giugno, in pieno inverno, Carlos E Basta si trovava nei recinti di una estancia vicino a Ushuaia. Controllava il Piper prima di tornare in volo verso nord, e aspettava che i gaucho finissero di arrostire un agnello. All’improvviso apparve una Land Rover da cui scesero quattro sconosciuti.

"Chi è il pilota del Piper?” chiese uno.

"Io. Perché?"

"Deve volare nel nord. Verrà pagato quanto vuole,” disse l’uomo.

"Quanto vuole. Il denaro non è un problema,” spiegò l’altro.

"Calma. Di che si tratta?”

“È morto don Nicanor Estrada, il padrone della estancia di San Benito. Io sono il capatax,” lo informò quello che dirigeva il ballo.

"Sentite condoglianze. Ma io che c’entro?"

"Lei deve portarlo fino a Comodoro Rivadavia. Laggiù lo stanno aspettando i parenti con la veglia funebre pronta. Don Nicanor deve essere sepolto nel panteon di famiglia.”

Quei tipi non sapevano cosa dicevano. L’estancia San Benito è a Río Grande, e Comodoro Rivadavia dista circa ottocento chilometri, sempre che si voli in linea retta.

“Mi dispiace, il mio aereo non ha abbastanza autonomia. Ho carburante sufficiente per volare solo fino a Punta Arenas,” si scusò Carlos E Basta.

"Lei ce lo porterà. Non ha sentito di chi si tratta?” insistette il capataz.

"No, non ce lo porto. E tanto per intenderci: sono io a decidere quando volo, dove volo, e chi sono i miei passeggeri.”

"Lei non ha capito. Se si rifiuta di portare don Nicanor Estrada non volerà più né in Patagonia, né nella Terra del Fuoco, né in nessun’altra dannata parte del mondo.”

Il capataz non fece in tempo a finire di parlare che i suoi compagni sollevarono il poncho per mostrargli i fucili a canne mozze.

A volte conviene fare eccezione. Questo pensò Carlos E Basta mentre volava verso l’estancía di San Benito con un gorilla come secondo pilota.

Don Nicanor Estrada lo stava aspettando cereo, congelato nella camera ardente che avevano allestito nella cella frigorifera dell’estancia. Centinaia di agnelli appesi tenevano compagnia al padrone. Alcuni gaucho e peones bevevano mate e fumavano guardando con rispetto il cadavere.

“È enorme,” disse quando lo vide.

"Come tutti gli Estrada. Un metro e novantotto,” spiegò il capataz.

"Non c’entra, un pacco del genere non entra nel Piper," dichiarò Carlos E Basta.

“Abbia più rispetto per don Nicanor. C’entra," insistette il capataz.

"Ascoltate: io mi rendo conto che voi dovete fare di tutto per portare il cadavere a Comodoro Rivadavia. Ma dovete capire che è impossibile. Questo aereo è un Piper, un quattro posti. La cabina dal pannello degli strumenti all’angolo posteriore misura un metro e settanta. Non c’entra neppure in diagonale.”

“L’idea è che lo trasporti sdraiato, o seduto. Così c’entra.”

"Nemmeno. Il sedile posteriore misura novanta centimetri di larghezza. Sdraiato non c’entra, e quanto a metterlo seduto, da quanto tempo è morto?”

"Quattro giorni. Perché?”

"Quattro giorni! È più duro di un palo, per il congelamento e per una cosa che si chiama rigor mortis. Dovrete spezzargli la spina dorsale e non credo che farà piacere alla famiglia.”

"Merda. È vero,” assentì il capataz.

Il morto, oltre che altissimo, era molto robusto. Senza vestiti doveva pesare i suoi buoni centoventi chili,



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