Per fortuna ci siamo persi. L'arte del viaggio imprevedibile by Maurizio Serafini

Per fortuna ci siamo persi. L'arte del viaggio imprevedibile by Maurizio Serafini

autore:Maurizio Serafini [Serafini, Maurizio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Terre di mezzo
pubblicato: 2022-07-27T16:57:53+00:00


Ed eccoci a Tripoli, città che parla ancora italiano. Dall’arco di Adriano alle marmoree architetture fasciste: la fontana della gazzella, il banco di Roma, la villa di Italo Balbo, l’Aurora. E moltissime ancora le parole italiane usate in Libia nel comune linguaggio, specie nel settore trasporti e meccanica: paraurti si dice paraurti, come strada, spinterogeno, parabrezza, freccia, batteria. Gasolio si dice nafta. Per il resto lasciamo perdere.

Il cuore della città è la Medina, il quartiere popolare, il suq. Un intreccio di stretti vicoli spesso coperti da foglie di palma. Ogni via è caratterizzata dalle varie maestranze: speziali, ciabattini, sarti, venditori di tappeti, ramai. Alla sera ritrovo Khaled. Ci accoglie come se stessimo ancora al tavolo di quella cena italiana, anche se attorno a noi la scenografia è completamente diversa. Ci troviamo sotto gli altissimi portici del palazzo dell’Aurora, dove gli uomini si radunano a fumare il narghilè e a sorseggiare tè alla menta. Parla di sé, delle donne italiane, del suo lavoro, degli occhi delle donne italiane, dell’amato Gheddafi che ha fatto della Libia un paese moderno e dei capelli delle donne italiane. Poi ci riempie di raccomandazioni: “Fuori Tripoli non è lo stesso; attenzione a dove vi cacciate e con chi state, fate gasolio e riempite le taniche, non tutti sono bravi libici”. Si congeda con un abbraccio e lasciandoci una serie di contatti di persone fidate pronte a darci una mano ovunque.

Usciamo dalla capitale in direzione sud, direzione deserto; ci immaginavamo sterrate, piste, tracce appena visibili su cui sentirci piloti della Parigi-Dakar. Invece la strada asfaltata è una linea retta senza buche e traffico. Perfetta per le Lamborghini. La Kangoo scorre lenta e solitaria. Rispetta il deserto che la circonda e si concede di tanto in tanto di segnare con gli pneumatici quel po’ di sabbia che il vento porta sull’asfalto.

Nel nulla, un’area di servizio. Pieno di gasolio. Quaranta litri circa tre euro. Dopo più di seicento chilometri senza aver mai girato il volante, al crepuscolo si vede Ghadames, il gioiello del deserto. S’annuncia l’oasi. Palme di datteri. Giardini rigogliosi. La città è stata costruita sottoterra nei pressi di una sorgente per affrontare la torrida estate del deserto.

Fuori le mura, all’hotel Winzrik, c’è Muin, uno degli amici di Khaled. Bel ragazzo, inusitatamente alto, assorto spesso nei suoi vocabolari confusi. La camera è fresca, condizionata. Arriva anche Mohamed, timido, dallo sguardo basso, sempre sudato e attivo. Giovane, silenzioso e di modi delicati ha le chiave di alcune case della città vecchia. Da duemila anni la sua famiglia viveva lì, ma ora il governo libico l’ha portata, come tutti del resto, fuori dalle mura storiche in cambio di appartamenti moderni forniti di bagno, neon, infissi anodizzati e aria condizionata. Il gioiello del deserto, patrimonio Unesco, si è trasformata in città museo in cui non vive più nessuno. Di giorno i residenti sono liberi di circolare nella città vecchia attratti anche dalle moschee attive, ma la notte i portoni secolari della città vengono chiusi lasciando solo agli spettri l’onore di vagare nel buio.



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