Perseveranza by Salvatore Natoli
autore:Salvatore, Natoli [Natoli, Salvatore]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Filosofia, Voci
ISBN: 9788815318367
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2014-10-14T22:00:00+00:00
Ai Greci dellâetà classica non è venuto mai in mente di rinunciare al piacere: rinunciarvi sarebbe altrettanto insensato che cedervi. Il continente â contrariamente alla banale vulgata â non si vieta affatto il piacere ma, appunto, lo contiene, vale a dire che sa tracciare un limite tra il mantenersi liberi e il divenire schiavi, tra il governare e il dipendere: Aristotele dice che pratica, sì, i piaceri, «ma non fino al punto da lasciarsene trascinare» (E.N., 1152a, 3).
Ma chi vive del e nel piacere ne paga alla lunga una nemesi spietata: quella di non riuscire più a provare piacere e per tornare a provarlo è costretto a unâescalation perversa fino allâautodissoluzione. Oppure perviene a una strana, singolare, quasi mistica apatia. Come Sade insegna. In tutto questo il rischio maggiore è dato dallâassuefazione che è un fatto oggettivo, direi fisiologico, tanto che â come diceva Epicuro â ci si può assuefare perfino al dolore, quando è lieve. Immaginarsi laddove non sâincontra resistenza. Ora dato per scontato che il piacere piace, perché mai fermarsi? Ma non è questo il punto: qui è rilevante non tanto ciò verso cui si cede, ma il fatto che a forza di cedere nel tempo si contrae una sorta di assuefazione al cedimento e ciò riguarda il modo di comportarsi in generale e quindi lâimpiantarsi di un abito di passività , e questo a prescindere dalla specificità dei vizi da cui si contrae dipendenza.
Questa condizione taglia alla radice la possibilità della perseveranza e non sono tanto i piaceri come tali a impedirla ma piuttosto quellâabitudine a cedere che riduce, fino allâannientamento, le capacità di resistenza. Alla fin fine le mollitiae impediscono di perseverare perché chi ne è assuefatto non riesce più a farne a meno e ne patisce con maggiore difficoltà lâassenza.
Lâassuefazione â per quanto a questo si ponga mente di rado â è, al pari delle virtù, un abito ma al negativo: è, infatti, lâaltra faccia dellâassiduità ma, a differenza di questa che è attiva, è passiva. Lâassuefazione è, infatti, inerziale; lâassiduità al contrario esige esercizio, bisogna mantenerla. Assiduus, infatti, nellâaccezione latina vuol dire mantenersi sempre e comunque al proprio posto, tanto che nel linguaggio corrente sâusa dire «assiduo al lavoro». Ma è molto più facile regredire alla passività che uscire dallâassuefazione e per evitare questo rischio è necessario mettersi costantemente alla prova, valutare le proprie capacità di tenuta nel senso del latino teneo che vuol dire insieme tenere stretto e dirigere. Un verbo non a caso impiegato dai latini per il gergo marinaresco nellâaccezione di volgere la prora, far vela verso. Di qui la tenacia come capacità di tenere la rotta ma, ancora di più, di sapersi destreggiare nei marosi, nel mutare della direzione dei venti. Di reggere perfino ai contraccolpi del dolore: infatti, teneo, tra i molti significati, ha quello di sopportare. Tutto ciò esige perseveranza, sia che la si assuma nellâaccezione ordinaria e minima di assiduità sia nel suo senso proprio: la capacità di tenere la rotta nelle difficoltà . Ma la perseveranza â come
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