Quando c'era Berlinguer by Walter Veltroni

Quando c'era Berlinguer by Walter Veltroni

autore:Walter Veltroni [Veltroni, Walter]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 5246152673e5d77df191eddeeb32fb6713907f8d
editore: Rizzoli
pubblicato: 2014-01-14T23:00:00+00:00


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Alberto Franceschini

Il nemico delle Br

Per noi Berlinguer era «il capo dei venduti» perché di fatto era quello che cercava in qualche modo di portare il Partito comunista all’interno di un progetto occidentale, non di tipo rivoluzionario. Era venduto in questi termini: stava svendendo un patrimonio storico non in nome di una rivoluzione, ma di un riformismo più o meno profondo.

Era un nemico perché lo consideravamo un riformista. Io ricordo che secondo noi il punto di svolta fondamentale all’epoca è stato il congresso di Bologna del 1969 in cui per la prima volta il Partito comunista disse in maniera chiara ed esplicita che la Costituzione italiana così com’era era perfetta, cosa che prima non era mai stata detta, perché c’era sempre stata l’ambiguità di una Costituzione nata da un confronto tra due forze diverse che si combattevano per arrivare a certi obiettivi. La nomina di Berlinguer come vicesegretario, allora era segretario ancora Longo, sanciva secondo noi proprio questo tipo di percorso che avrebbe portato alla distruzione del Partito comunista.

Una parte del partito era assolutamente contraria e viveva Berlinguer come nemico. Sicuramente Pietro Secchia era un personaggio di questo tipo. L’altro elemento che secondo me è fondamentale, e non è mai stato indagato fino in fondo, è Giangiacomo Feltrinelli. Erano due i personaggi chiave di riferimento di questo percorso che avrebbe portato alla rottura del Partito comunista. Da una parte Secchia, come quadro storico del partito, e dall’altra Feltrinelli, una persona che aveva relazioni internazionali estremamente importanti e complesse, e che poi cercò di far saltare due tralicci l’elettricità per impedire di far eleggere Berlinguer durante un congresso del Pci nel 1972 a Milano. Ma di quell’attentato non so niente, perché lui aveva una sua organizzazione, i Gap.

Rapporti diretti con l’Est non ne avemmo mai. Anzi, durante i primi quattro anni in cui io sono rimasto fuori, li abbiamo sempre rifiutati nonostante Feltrinelli ce li proponesse. Lui sosteneva che la rivoluzione in Europa doveva trovarsi degli alleati, non poteva svolgersi in solitudine o alla Che Guevara… Quindi quello che lui chiamava il campo socialista, l’Unione Sovietica con i vari satelliti, era di fatto oggettivamente l’alleato fondamentale che bisognava perseguire. Noi non eravamo d’accordo e definivamo l’Unione Sovietica come social-imperialismo, prendendo la terminologia di Mao, cioè come una forma di capitalismo che probabilmente è quello che adesso funziona alla perfezione in Cina. Però nel nostro giro culturale c’era questa idea di Stalin come l’uomo forte, l’uomo che aveva sconfitto i nazisti, il grande compagno. Poi, proprio per il fatto che il Partito comunista lo rinnegava, lo rifiutava, dal nostro punto di vista era invece importante riprenderlo.

Nel volantino che gestiva il rapimento di Ettore Amerio nel dicembre 1973, per la prima volta lanciammo la parola d’ordine che poteva sembrare un’eresia, ma per noi era fondamentale: secondo noi il movimento operaio doveva rompersi. In genere a sinistra si è sempre detto che bisogna unire, noi dicevamo che dovevamo dividere i comunisti, i rivoluzionari dai berlingueriani. Abbiamo introdotto questa categoria dei berlingueriani per differenziarli dai comunisti. In fondo anche il rapimento di Moro è coerente con la nostra strategia per certi aspetti.



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