Quattro colpi per Togliatti: Antonio Pallante e l’attentato che sconvolse l’Italia by Stefano Zurlo

Quattro colpi per Togliatti: Antonio Pallante e l’attentato che sconvolse l’Italia by Stefano Zurlo

autore:Stefano Zurlo [Zurlo, Stefano]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biography & Autobiography, General
ISBN: 9788893888042
Google: TpaDDwAAQBAJ
editore: Baldini & Castoldi
pubblicato: 2019-01-15T23:00:00+00:00


La giornata del 15 luglio comincia prestissimo, prima dell’alba, nei grandi alberghi di Cannes. Ginettaccio, come lo chiamano in Italia per il suo carattere non proprio accomodante, fa la solita, sfarzosa colazione divorando quantità industriali di pane, marmellata, carne, uova. Il campione incontra un giornalista e gli chiede: «Come sta Togliatti?» «L’hanno operato. Ho sentito la radio, è ancora vivo.» Meglio così.

Alle sei e dieci un colpo di pistola annuncia la partenza. Gli italiani sanno cosa fare: appena fuori Cannes un compagno di Gino va all’attacco, come stabilito il giorno prima. Bisogna sfiancare gli avversari, questo l’imperativo, punzecchiarli in tutti i modi per cercare di far saltare le gerarchie della classifica. Bobet corre a riprendere il fuggitivo. Il gruppo si ricompone e inizia a puntare verso il Col d’Allos. Il tempo sta peggiorando a vista d’occhio e il cielo sputa nevischio. Una mezza nevicata in pieno luglio, condizioni meteo proibitive per una tappa difficilissima e lunghissima. Bartali, che si è emozionato rivedendo i luoghi per lui mitici del trionfale 1938, sembra già in difficoltà. È scattato il francese Jean Robic, che ha vinto la precedente edizione del Tour, quella del 1947, senza mai vestire la maglia gialla, solo mettendo il turbo nell’ultima decisiva tappa. Robic, potenziale candidato al successo finale, scollina in solitudine e si butta giù a capofitto, in discesa. Bartali ha già un minuto di ritardo. Sembrano prendere corpo le parole dell’«Equipe»: «Questa è l’ultima battaglia della carriera di Bartali. Dopo una sconfitta al Tour cosa rimarrà a questo campione, superato da Coppi?»

Purtroppo le cose non vanno male solo sui colli alpini, le fabbriche e le piazze italiane sono ormai da 24 ore terreno di scontro. A Torino gli operai hanno occupato la Fiat, il tempio dell’industria italiana. Ma questo è solo un aspetto di una situazione a dir poco esplosiva: sedici dirigenti sono tenuti in ostaggio e fra di loro c’è Vittorio Valletta, il dominus dell’azienda. I rivoltosi non temono niente e nessuno e sono pronti ad alzare il livello dello scontro. Il prefetto medita un intervento con le armi pesanti, assai rischioso in quel contesto che potrebbe precipitare. Valletta, che gestisce tutto in prima persona e non ama le deleghe, nemmeno agli alti funzionari dello Stato, conduce le trattative. «Nelle prime ore», ricorda Battista Santhià, uno dei tre direttori nominati dal Comitato di liberazione, «Valletta non disse una parola, non diede una disposizione. Era evidentemente preoccupato, diciamo pure impaurito. Poi poté mettersi in contatto telefonico con il prefetto a cui disse, con il tono del padrone, di stare fermo, di non preoccuparsi per lui. Da quel momento fu un altro uomo.»

Valletta si è ripreso, ha recuperato il suo sangue freddo e il suo carisma, si è guardato intorno, ha scrutato le tute blu e ha avuto un’intuizione: la rivoluzione è rinviata a data da destinarsi. «Valletta», scrive Giorgio Bocca, «ha capito prima di tutti i prefetti della Repubblica che non ci sarà la rivoluzione.» Così agisce di conseguenza, mettendo insieme una lucidità straordinaria e un coraggio non comune, in quello scenario così limaccioso.



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