Quello che possiamo imparare in Africa by Dante Carraro

Quello che possiamo imparare in Africa by Dante Carraro

autore:Dante Carraro
La lingua: ita
Format: epub
Tags: i Robinson / Letture
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2021-06-15T00:00:00+00:00


V.

Aiutarli a casa loro

La prima cosa strana che succede è questa: «Senti come un fascio di luce puntata addosso». Sei tu quello diverso, sei il bianco, cammini per strada e ti guardano, e ti sembra di essere finito nel rovescio del mondo a cui eri abituato.

Quando chiedo ai giovani specializzandi appena rientrati dall’esperienza africana di raccontarmi un paio di sensazioni, le più forti, mi guardano stupiti: «Solo due?». Oppure: «Hai qualche ora a disposizione?».

Puoi essere il medico migliore del mondo, ma se non ti metti in testa che «la vera sfida è conoscere il territorio e lavorare con il personale medico locale», lo sforzo rischia di essere inutile. Elena dice che a lei i sei mesi a Beira sono sembrati troppo pochi. I malati accedono al servizio tardi, quando non ce la fanno più, potresti salvarli se solo chiedessero aiuto prima. «Tanto più per questo – dice – diventa quasi impossibile rassegnarsi». Davanti al neonato asfittico che si stava progressivamente spegnendo, ha pianto, e ha pensato che non doveva andare così: «Un’infermiera mi ha guardato come se stessi combattendo con i mulini a vento».

Giovanni è tornato da Aber, Uganda, e racconta quanto sia complicato convincere le donne in gravidanza a partorire nei centri di salute. La volta che si è ritrovato a guadare un fiume su un moto-taxi («Eravamo in quattro a bordo, io, l’autista, la mamma e il bambino nella sua pancia»), gli è sembrato un piccolo miracolo.

Niente retorica: i primi a toglierla di mezzo sono loro. Alberto è appena arrivato a Wolisso, Etiopia, ieri ha cenato con polpette di ceci e pasta al pomodoro («cucinata dai volontari italiani»). Mi racconta come «la consapevolezza che non tutti abbiamo le stesse possibilità», da astratta, là prende istantanea concretezza. Sua moglie Teresa, medico anche lei, sta per raggiungerlo. Se chiedi a uno di questi giovani italiani il perché della loro scelta, sorridono come davanti a una domanda molto sciocca.

Alberto non era sicuro su cosa fare da grande, ma il test di ingresso a Medicina, provato quasi per sfida, è andato bene. La prima immagine, una volta messo piede a Addis Abeba, è stata una processione coloratissima. «Fa strano – dice al telefono su WhatsApp, usando la connessione wi-fi dell’edificio del Public Health – trovarsi in un luogo in cui la sanità è a pagamento. Sembra un paradosso, visti i problemi cronici dell’organizzazione sanitaria, difficilissimi da affrontare, ma è così». Primo impatto? «Clima ottimo. È bello sentirsi diversi, fa bene».

Giovanni per prima cosa evoca «le strade rosse, come nei documentari». E gente che cammina, cammina tantissimo. Poi l’immagine della donna incinta su un moto-taxi, finalmente convinta a partorire in ospedale. «La sfida più grande è quella di spingere le madri a partorire almeno nei centri di salute e sostenerli nei costi necessari». Prima di partire per l’Uganda, da dove è appena rientrato, qualche incertezza c’era. I legami familiari, la distanza, anche. Ma poi si è ricordato di un altro viaggio, per fare volontariato: «Quando sono passato in volo sopra l’Africa, ho sentito, o meglio, ho saputo che prima o poi avrei fatto un’esperienza là».



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