Qui e là in Manciuria e Corea by Natsume Soseki

Qui e là in Manciuria e Corea by Natsume Soseki

autore:Natsume Soseki [Soseki, Natsume]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Lindau
pubblicato: 2023-04-16T22:00:00+00:00


25

Visto dalla vetta, il versante non ci parve ripido come temevamo, ma nulla di verde che si potesse definire un albero ostacolava la visione. Non solo lo sguardo arrivava fino ai piedi della montagna, ma raggiungeva i campi sotto di noi che dalle pendici distavano circa quattro chilometri. L’aria tutt’intorno era molto più limpida che in Giappone e le cose lontane ci apparivano così nitide che si aveva l’impressione di averle di fronte. Il colore del sorgo era quello che caratterizzava maggiormente il paesaggio.

«Vedete laggiù quel punto bianco grande quanto l’unghia di un mignolo? Da lì a qui i nostri hanno scavato una galleria sotterranea» disse A, indicandoci col dito un punto lontano.

«Siccome per fare un buco in questa zona, bisogna in generale spaccare la roccia, realizzare un cunicolo di un centinaio di metri è stata un’impresa tutt’altro che facile».

Ci spiegò anche che per scavare un camminamento dal fossato esterno alla galleria sotterranea lavoravano dalla mattina alla sera e sbancare quarantacinque centimetri al giorno fu il meglio che riuscirono a fare. Tentai di calcolare a mente la distanza che separava la cima elevata della montagna su cui mi trovavo e il punto bianco in lontananza e non potei che provare grande ammirazione per la perseveranza dei militari.

«Ma fin dove hanno scavato esattamente?» domandai.

«Fin laggiù» mi rispose, indicandomi un punto con la sciabola.

Visto che, stando alle sue parole, avevano continuato a scavare dal 2 settembre al 20 ottobre, avevano dimostrato una tenacia formidabile.

«A quell’epoca anche il nemico scavò una galleria sotterranea che partiva dal forte con l’intento di bloccarci. Un giorno, i soldati giapponesi al lavoro sentirono che da qualche parte la roccia veniva spaccata e così capirono che nel ventre buio della terra il nemico si avvicinava centimetro dopo centimetro. Fu allora che facemmo saltare il fossato con l’esplosivo».

Il tenente, in piedi sulla collina di detriti creata dall’esplosione, si voltò verso di noi che ovviamente eravamo lì sopra con lui.

«Se si scavasse qui sotto, si troverebbero parecchi cadaveri!» aggiunse.

Da un lato della collina era franato un po’ di terreno, lasciando semiscoperta una cavità buia. Un metro e mezzo di cemento costituiva il soffitto di quella caverna. Ci stendemmo pancia a terra per infilarci in quella cavità. Scendendo lentamente lungo la galleria scavata nella roccia, alzai lo sguardo e per la prima volta mi resi conti della solidità delle fortificazioni. Dopo aver distrutto il fossato, non avrebbero potuto raggiungere il forte se non demolendo le spesse mura, e dare l’assalto sarebbe stato oltremodo difficile. Inoltre calarsi da una piccola fenditura e occupare la galleria costruita in cemento passo dopo passo, era il segno di una tenacia sovrumana. In quel periodo i soldati dei due eserciti combatterono avvolti dall’oscurità, divisi da una sottile barriera a una distanza di appena trenta centimetri. Ricordo che A ci raccontò che la barriera era costituita da sacchi di terra ammonticchiati.

«Bastava che una testa spuntasse sopra i sacchi, che subito veniva bersagliata dai proiettili, perciò sparavamo alla cieca rimanendo al riparo della barriera. Poi, quando eravamo stanchi, posavamo i fucili e capitava anche che ci mettessimo a parlare dai due fronti.



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