San Francesco by Gilbert K. Chesterton

San Francesco by Gilbert K. Chesterton

autore:Gilbert K. Chesterton
La lingua: ita
Format: epub
editore: LINDAU
pubblicato: 2018-11-29T16:00:00+00:00


1 Snout Beccuccio è un personaggio di Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, il quale nella rappresentazione metateatrale Priamo e Tisbe recita la parte del Muro. In Macbeth, dello stesso Shakespeare, i soldati di Macduff, Malcolm e Siward marciano verso il castello di Macbeth, sulla collina di Dunsinane, camuffati da alberi della foresta [N.d.R.].

I tre Ordini

C’è senza dubbio una logica secondo la quale in due si è in compagnia e in tre no; c’è anche un’altra logica secondo la quale in tre si è in compagnia e in quattro no, come è dimostrato da una sequela di personaggi storici o immaginari che se ne vanno in giro in tre, come i tre moschettieri o i tre soldati di Kipling. Ma c’è pur sempre una logica diversa secondo la quale quattro è una compagnia e tre no, quando si usi il termine compagnia nella sua accezione più indefinita di folla o di massa. Il quarto uomo evoca l’immagine di una folla; non è più un gruppo di tre individui visto come unità. Questa immagine del quarto uomo si proiettò sul piccolo eremitaggio della Porziuncola quando un uomo di nome Egidio, che sembrava un povero lavoratore, fu invitato da san Francesco a entrare. Si unì senza difficoltà al mercante e al prete che erano già i compagni di san Francesco, ma con il suo arrivo si era passato un confine invisibile, perché da quel momento si percepì che la crescita di quel piccolo gruppo era diventata potenzialmente infinita, o quantomeno che il suo contorno sarebbe stato per sempre indeterminato. Può darsi che sia stato in quel momento di transizione che Francesco ebbe un altro dei suoi sogni pieni di voci; ma questa volta le voci erano un coro delle lingue di tutte le nazioni; francesi, italiani, inglesi, spagnoli e tedeschi che proclamavano la gloria del Signore, ognuno nella propria lingua; era una nuova Pentecoste e una Babele più felice.

Prima di descrivere i primi passi che fece per organizzare questo gruppo che stava crescendo, è bene avere una se pur rozza idea di come lui concepisse il futuro del gruppo. Non chiamò monaci suoi discepoli, e non è chiaro se, almeno all’epoca, a questo punto avesse pensato a loro come monaci. Li aveva chiamati in latino fratres minores, ma ci avvicineremmo molto di più alla sua mentalità se li chiamassimo «piccoli fratelli». Con ogni probabilità aveva già deciso che avrebbero dovuto prendere i tre voti di povertà, castità e obbedienza che sono i cardini della vita monastica. Ma si direbbe che a fargli più paura non fosse l’idea del monaco, ma quella dell’abate. Aveva paura che gli alti gradi gerarchici che avevano dato persino ai più venerabili tra coloro che ne erano stati insigniti una sorta di orgoglio, per quanto impersonale e di casta, avrebbero introdotto un elemento di pomposità che avrebbe corrotto la sua interpretazione estremamente e meravigliosamente semplice del vivere in umiltà. Ma l’enorme differenza tra la disciplina come la intendeva lui e quella del vecchio sistema monastico



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