Sanctus by Simon Toyne

Sanctus by Simon Toyne

autore:Simon Toyne [Toyne, Simon]
La lingua: ita
Format: epub, azw3, mobi
ISBN: 9788873394389
editore: Sperling & Kupfer
pubblicato: 2013-04-02T04:00:00+00:00


I sacchi di plastica con i cadaveri giacevano nelle viscere della montagna; alcune gallerie più in alto, gli uomini che si apprestavano a recuperarli accendevano delle torce. Poco più di ventiquattro ore dopo essere fuggito dalla Cittadella, fratello Samuel vi era già tornato.

PARTE QUARTA

«In principio era il mondo, e il mondo era Dio,

e il mondo era cosa buona.»

Frammento della Bibbia Eretica

69

TRA tutte le possibili scene del crimine, la cella frigorifera dell’obitorio cittadino era una delle migliori. Grazie agli accessi molto limitati non c’era il solito accumulo di impronte parziali, capelli e tracce assortite che rallentavano la maggioranza delle indagini. Tutte le superfici erano asettiche e si poteva disporre di una registrazione a circuito chiuso che mostrava i punti dove i sospettati avevano toccato qualcosa.

«Lì», disse Arkadian indicando il telo verde posato sul carrello. «Il primo sospettato l’ha toccato quando se l’è tirato addosso.»

Petersen sorrise. A parte il vetro, il materiale sintetico era la superficie da cui era più facile rilevare impronte.

«Ha toccato anche quel cassetto.» L’ispettore indicò quello contrassegnato dal numero 8. «Fatemi sapere se scoprite qualcosa.» Lasciò il tecnico intento a disporre i pennelli e a svitare un tubetto di polvere d’alluminio finissima.

Un agente in uniforme sulla porta controllava che nessun altro entrasse o uscisse. Reis camminava avanti e indietro nel corridoio fuori dal suo ufficio. Appena lo vide avvicinarsi sollevò il kit incellofanato che teneva in mano.

Arkadian lo afferrò al volo, senza fermarsi. «Lei dov’è?»

«Sala del personale, primo piano», gli gridò dietro il patologo.

La dichiarazione descriveva nel dettaglio tutto quello che le era successo da quando era entrata nell’obitorio fino al momento in cui aveva riconosciuto l’uomo che compariva nelle riprese delle telecamere di sicurezza. Liv era in procinto di firmarla, quando comparve Arkadian.

Lei si stava ancora chiedendo quale fosse il gioco di Gabriel. Nella dichiarazione non lo aveva definito un presunto rapitore. In fondo aveva semplicemente finto di essere un agente e le aveva offerto un passaggio in città. Non era stato lui a puntarle una pistola in faccia. Non aveva nemmeno rubato il corpo di suo fratello, anche se Liv non riusciva a immaginare perché fosse entrato nella cella frigorifera. Alla fine lo aveva descritto come «la persona che ho incontrato all’aeroporto e che ha dichiarato di essere stato inviato dalla polizia per scortarmi». Non era una forma elegante, ma era precisa. Scarabocchiò la data accanto al proprio nome.

L’agente in uniforme controllò la firma poi allontanò la sedia dal tavolo. Quando fu uscito, Arkadian chiuse la porta.

Liv tirò verso di sé un geranio dall’aria sofferente e cominciò a staccare i fiori avvizziti dagli steli, sbriciolandoli nel vaso. «L’avete trovato?»

L’ispettore guardò giù in strada. Sarebbe stato bello se in quel momento un furgone della polizia si fosse fermato davanti all’edificio con uno stridio di gomme e ne fossero scesi i tre ricercati in manette, ma non successe.

«Non ancora», rispose. I camion dei pompieri erano andati via, lasciando al loro posto solo una macchia di gasolio dai riflessi iridati. «Ci stiamo lavorando.» Si voltò verso il giornale stropicciato sul tavolo in mezzo a loro: la prima pagina era ormai un caleidoscopio di lettere e cancellature.



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