Sentieri di sabbia e ghiaccio by Nick Hunt

Sentieri di sabbia e ghiaccio by Nick Hunt

autore:Nick Hunt [Hunt, Nick]
La lingua: eng
Format: epub
editore: Mimesis Edizioni
pubblicato: 2023-04-28T10:21:19+00:00


La steppa ungherese

C’erano una volta due fratelli, di nome Hunor e Magor. Erano figli di Ménrót, un re guerriero – un gigante, secondo alcuni – che governava nel lontano Oriente: un paese di cieli immensi e una terra piatta come il mare, ricoperta da una distesa d’erba ondeggiante da un orizzonte all’altro. I suoi abitanti domavano cavalli e apprendevano a montarli con maestria. Quel paese dell’Est era la patria dei cavalli.

Hunor e Magor amavano cacciare, e durante una delle loro battute sorpresero un cervo maschio diverso da qualsiasi altro animale avessero mai visto. Era bianco dalla testa agli zoccoli, con delle splendide corna, anch’esse bianche. Partirono all’inseguimento, ma il cervo era molto veloce, più veloce dei loro destrieri, e lo rincorsero per giorni senza riuscire a catturarlo. Il cervo si spinse sempre più a ovest attraversando le pianure d’erba e loro continuarono a stargli dietro, galoppando lontano dal regno del padre. Infine, i fratelli giunsero in un’altra terra – verde, ricca d’acqua, fertile – dove il cervo, compiuto il suo ruolo nella storia, scomparve.

Ma i due trovarono una preda ben più preziosa: le bellissime figlie del principe Dula, sovrano degli Alani, che si erano accampate nei pressi di un lago. Hunor e Magor le portarono con sé. Le sposarono, o forse le stuprarono, probabilmente entrambe le cose. Dalla discendenza di Hunor vennero gli Unni, da quella di Magor vennero i Magiari, e dall’unione forzata delle tre tribù nomadi – Unni, Magiari e Alani – scaturì il popolo ungherese.

Í 

Il cielo è basso e screziato di nuvole. La campagna ha un colore smorto. Quando il treno esce dalla stazione di Monaco, il mio zaino viene perquisito a fondo da un ufficiale in borghese, che mi fa molte domande. “Cosa vi porta in Ungheria?” chiede.

“Sono alla ricerca del cervo bianco”, vorrei dire. Invece chiedo: “È della polizia tedesca?”.

“Bavarese”, replica con tono severo.

Più tardi realizzo che il giorno seguente inizierà un festival musicale a Budapest e il treno è pieno di raver tedeschi pieni di dreadlock. Probabilmente ci sono chili di droga a bordo, ma non nel mio bagaglio.

L’Austria meridionale sfuma dolcemente nell’Ungheria occidentale, gli stessi monotoni campi coltivati e la noiosa architettura imperiale che ricorda il tempo in cui entrambi i territori erano uniti in una monarchia duale. Mi abbandono a un sonno in solitaria e mi sveglio, disteso su tre sedili, con lo scompartimento pieno di omoni dall’aria imbarazzata che cercano di farmi spazio. Ho sicuramente sbavato nel sonno. Alla mia sinistra vedo uno scorcio di colline boscose. Dall’altro lato del treno, la terra piatta si allunga verso sud. Al mio arrivo Budapest sembra stranamente silenziosa rispetto alla città sferragliante e rumorosa dei miei ricordi, ma magari è solo il mio cervello che, dopo quattro ore di sonno interrotto, non risponde agli stimoli. Catene multinazionali affiancano negozi dall’aspetto antico che espongono in maniera poco elegante corde, scope e attrezzatura per la pesca. Ubriachi circondano la stazione di Budapest-Keleti, senzatetto dalle facce invecchiate dal fumo, con espressioni che raccontano una lunga sofferenza. Il



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