Senza mai arrivare in cima by Paolo Cognetti

Senza mai arrivare in cima by Paolo Cognetti

autore:Paolo Cognetti [Cognetti, Paolo]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858429884
editore: Einaudi
pubblicato: 2018-12-06T16:00:00+00:00


Capitolo terzo

Per una valle di frontiera

Il posto in cui ci accampammo quel giorno sembrava un villaggio fantasma. Era stato costruito in una strana posizione, proprio allo sbocco di un canyon, dove sgorgava il torrente che aveva scavato quella gola: cosí durante le piene l’acqua aveva rubato terreno alle case, era arrivata ai muri e ne stava erodendo le fondamenta, e questa pareva essere la causa dell’abbandono. Eppure i campi erano stati falciati da poco, lo sterco era steso a seccare su un pendio al sole. Dov’erano andati tutti? Seguii un canale d’irrigazione in disuso, un’opera d’ingegneria che superava salti e avvallamenti su archi di pietra: trovai i due chorten d’ingresso al villaggio, un muro di pietre mani, ruote di preghiera arrugginite, un gompa malridotto. A Namgung anche la religione aveva un’aria trascurata, quella dei vecchi culti a cui non crede piú nessuno.

Il primo abitante a rivelarsi fu una ragazza che corse giú dai pascoli, attraversò un ponticello e scomparve nel cortile di una casa. Poco dopo ne uscí un vecchio a controllare chi c’era, e mentre cercavo di comunicare con lui vidi che dietro, nella penombra, la ragazza aveva un bambino legato alla schiena. Lo portava avvolto in una fascia come fosse un tutt’uno con lei. Il vecchio mi guardava sospettoso: solo dopo molte cerimonie, dato che insistevo a indicare il gompa, prese di malavoglia una grossa chiave appesa accanto alla porta. Mi guidò per un vicolo e scostò da un muretto una specie di recinto di rovi. Appena oltre scoprii le ragioni della sua diffidenza: l’orzo del raccolto era tutto lí, nel cortile del monastero, le fascine bionde disposte in lunghe file ordinate. Anche intorno a quel gompa volteggiava uno stormo di piccioni e non potevo credere che fosse un caso.

Ricordai la desarpa autunnale dei montanari delle mie parti, la discesa a valle con il bestiame alla fine della stagione dell’alpeggio. Anche in Dolpo, probabilmente, una volta terminato il raccolto gli abitanti lasciavano i villaggi alti per svernare a quote piú miti. Eravamo a 4400 metri in ottobre inoltrato: mancava poco all’arrivo della neve. All’interno il monastero conservava affreschi scrostati e maschere mostruose, ma adesso serviva piú che altro come granaio. A proteggere l’orzo prezioso non restavano che i piccioni selvatici, i recinti di rovi, la polverosa sacralità di quell’edificio, un vecchio guardiano. Eppure, quale destino migliore per un tempio in disuso?

Kanjiroba aveva preso confidenza e adesso non si limitava a starci intorno, la mattina irrompeva nella tenda. Alle sei i portatori gridavano «Caffè!» e concedevano a noi sahib il lusso di servircelo ancora nel sacco a pelo. Ci svegliavamo cosí, io e Nicola, dalle nostre notti agitate: con il caffè della moka e l’allegria di un cane randagio.

– Ti ho già messo lo zucchero, – dicevo, mentre lei gli saltava addosso.

– Ma perché sempre da noi? – si lamentava lui insonnolito.

– Eh, chissà perché.

Qualcuno nella carovana aveva cominciato a pensare che Kanjiroba fosse la reincarnazione di un monaco peccatore, costretto in quest’altra esistenza a vagabondare sugli altipiani. A



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