Suspiria by Thomas De Quincey

Suspiria by Thomas De Quincey

autore:Thomas De Quincey
La lingua: ita
Format: mobi, epub
editore: Garzanti Classici
pubblicato: 2018-10-28T23:00:00+00:00


1 Shakespeare, Otello, a. V, sc. II, vv. 346-347.

SAVANNAH-LA-MAR

Dio colpì Savannah-La-Mar, e, in una sola notte di terremoto, la portò, con tutte le sue torri intatte e i suoi abitanti immersi nel sonno, dalle solide fondamenta della riva al fondo corallino dell’oceano. E Dio disse: «Sotterrai Pompei e la nascosi agli uomini per diciassette secoli: sotterrerò questa città, ma non la nasconderò. Essa sarà per gli uomini un monumento della mia ira misteriosa, incastonato in luce azzurra per tutte le generazioni a venire; poiché la racchiuderò nella cupola di cristallo dei miei mari tropicali». La città, come un possente galeone con tutte le vele spiegate, i pennoni al vento e in perfetto arnese, sembra navigare per le silenti profondità dell’oceano e spesso, nelle vitree calme, attraverso la traslucida atmosfera marina che ora si stende come una tenda tessuta d’aria sul silenzioso accampamento, i marinai di tutti i paesi abbassano lo sguardo verso le sue corti e le sue terrazze, contano le sue porte, ed enumerano le guglie delle sue chiese. La città è un unico vasto cimitero e tale è già da molti anni; ma nelle possenti calme che per intere settimane covano sulle latitudini tropicali, essa affascina lo sguardo con una rivelazione di Fata Morgana, come di vita umana che ancora sussista nei rifugi sottomarini, immuni dalle tempeste che tormentano la sovrastante nostra atmosfera.

Colà, attirato dalla bellezza dei cerulei abissi, dalla pace delle umane abitazioni protette da ogni molestia, dal barlume dei marmorei altari addormentati in eterna santità, spesse volte nei sogni fendetti, col Cupo Interprete, il velo d’acqua che ci divideva dalle sue strade. Guardammo nei campanili, dove le campane sospese attendevano invano il richiamo che avrebbe risvegliato i loro squilli nuziali: insieme toccammo le possenti canne d’organo che non cantavano jubilate per il divino orecchio, né cantavano requiem per l’orecchio del dolore umano; insieme scrutammo le tacite stanze dei bimbi, dove i piccini erano tutti addormentati, e dormivano da cinque generazioni. «Essi attendono l’alba celeste», sussurrò fra sé l’Interprete, «e quando questa verrà, le campane e gli organi canteranno uno jubilate ripetuto dagli echi del Paradiso.» Poi, volgendosi a me disse: «Questo è triste, compassionevole; ma meno non sarebbe bastato all’intento divino. Guarda, metti in una clessidra romana cento gocce d’acqua, lasciale cadere come i granelli in un orologio a sabbia, in modo che ogni goccia misuri la centesima parte di un secondo, cosicché ognuna rappresenti la trecentosessantamillesima parte di un’ora. Ora, conta le gocce mentre cadono; e quando passa la cinquantesima, osserva!, quarantanove non sono più perché già sono perite; e cinquanta non esistono perché sono ancora da venire.

«Tu vedi, dunque, quanto sia limitato, incalcolabilmente limitato, il vero e reale presente. Di quel tempo che chiamiamo il presente, appena una centesima parte non appartiene a un passato che è già fuggito o a un futuro che ancora si avanza. Il resto è morto o non è nato ancora; è stato o non è. Pure, anche questa approssimazione alla verità è infinitamente falsa. Poiché, suddividi ancora quella



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