Tecnologie per il potere by Ziccardi Giovanni

Tecnologie per il potere by Ziccardi Giovanni

autore:Ziccardi, Giovanni [Ziccardi, Giovanni]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


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1. Vedi N. Woolf, What Could Blockchain Do for Politics?, in Internet all’indirizzo https://medium.com/s/welcome-to-blockchain/what-could-blockchain-do-for-politics-de3942d8edda.

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I chatbot e l’intelligenza artificiale

I chatbot per uso elettorale sono uno dei fenomeni più interessanti degli ultimi tempi: uno dei benefici più evidenti è che sono attivi costantemente e, visto che sono programmati per quello, sono sempre pronti a rispondere a un messaggio con un altro messaggio. Possono, poi, essere utilizzati per raccogliere informazioni, o per stimolare i cittadini online e rispondere alle loro domande più semplici.

In Nuova Zelanda, per esempio, è stato creato sam, un chatbot che rappresenta i costituenti neozelandesi. Ci si può rivolgere a lui via Facebook per provare questo esperimento di creazione di un rappresentante che ascolti le domande dei cittadini e risponda con fatti e posizioni politiche. Si pensi a come potrebbe essere il politico del futuro, capace di rispondere a migliaia di domande allo stesso tempo. In Russia, invece, un bot basato su intelligenza artificiale gestito dalla società Yandex è diventato improvvisamente violento e offensivo nei confronti degli utenti che si rivolgevano a lui, appoggiando pubblicamente il regime stalinista degli anni Trenta.1

Bot programmati male, in effetti, possono sfuggire al controllo dell’uomo e minacciare, influenzare le elezioni o veicolare flussi di comunicazione permeati d’odio.

Un bot politico può essere programmato per lasciare commenti di supporto a un candidato sulla pagina Facebook di un politico, per offendere giornalisti o avversari con tweet e commenti d’odio, o per rendere più popolari dei post alimentando così una discussione politica artificiale, o “drogata” che dir si voglia.

Rispetto all’attività umana, è chiaro che i bot sono in grado di immettere contenuti senza sosta, dominando le conversazioni, ma possono anche avere una identità univoca o rubare identità altrui, “autodichiararsi” bot o fingere di essere umani.

Nell’agosto del 2017 Donald Trump ha avuto una interazione su Twitter con un utente denominato Nicole Mincey: di fronte a 35 milioni di follower, l’ha ringraziata per un tweet e si è poi scoperto che era un bot, forse legato, peraltro, alla stessa campagna di Trump.

Il problema è che la linea di confine tra bot e reale diventa sempre più labile e difficile da individuare, anche se sono sempre più numerosi i software e le app che riescono a individuarli analizzando i loro comportamenti in rete e la frequenza degli impulsi rilasciati online.

I bot attuali operano di solito in tre direzioni, anche in ambito politico:

– alcuni si uniscono e si “mescolano” a utenti reali per aumentare la loro credibilità o per pubblicare contenuti che supportino gli obiettivi o le tesi di una parte. Bot con un’attitudine positiva possono anche essere utilizzati per cercare di “ripulire” alcune situazioni dove il dialogo è avvelenato da bot che, al contrario, diffondono notizie negative;

– altri bot sono programmati semplicemente per attaccare o offendere l’altra parte, postando continui commenti negativi sulle attività altrui, o anche per diffondere su larga scala informazioni trafugate ad avversari politici;

– dei bot, invece, sono rilasciati in rete semplicemente per diffondere disinformazione e per “avvelenare” il dibattito.

Il problema, per l’interprete, è comprendere quanto gli utenti “umani” siano influenzati da queste attività.



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