Barbery Muriel - 2008 - Estasi culinarie by Barbery Muriel

Barbery Muriel - 2008 - Estasi culinarie by Barbery Muriel

autore:Barbery Muriel [Barbery Muriel]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788876418396
Google: 889zngEACAAJ
editore: E/O
pubblicato: 2008-03-14T23:00:00+00:00


L’avevamo comprata prima di risalire in macchina in un negozietto davanti ai bastioni, avvolta accuratamente in carta di giornale. La guardavo con la coda dell’occhio, ancora troppo inebetito per gioire della sua presenza, ma tuttavia sereno, sapendo che era lì per “dopo”, per “pranzo”. Strano… Chissà perché in questo giorno di trapasso il ricordo più viscerale del pane che mi viene in mente è quello della kesra marocchina, quella graziosa palletta schiacciata, più simile per consistenza a un dolce che alla baguette. Comunque sia: lavato e vestito, beato nell’attesa di un pomeriggio di passeggiate nella medina, mi mettevo a tavola, strappavo dal grosso pezzo che mi passava mia madre un primo boccone da conquistatore, e nel tepore friabile e dorato dell’alimento ritrovavo la consistenza della sabbia, il suo colore e la sua accogliente presenza. Il pane, la spiaggia: due calori connessi, due attrattive complici, e ogni volta un mondo intero di gioie rustiche assale la nostra percezione. Sbagliamo a credere che la nobiltà del pane risieda nel fatto che basta a sé stesso e al contempo accompagna qualsiasi pietanza. Se il pane “basta a sé stesso” è perché è molteplice, non nel senso delle sue tante tipologie, ma per la sua essenza stessa giacché il pane è ricco, è vario, il pane è un microcosmo. In esso si incorpora un’assordante varietà, come un universo in miniatura che svela le sue ramificazioni nel corso della degustazione. L’assalto, che di primo acchito si scontra con la muraglia della crosta, dopo che ha superato questa barriera resta sbalordito dalla remissività che gli riserva la mollica fresca. È quasi sconcertante l’abisso che c’è tra la scorza screpolata, a volte dura come pietra, a volte semplice manto che cede ben presto all’offensiva, e la morbidezza dell’interno che si raggomitola nelle guance con carezzevole docilità. Le fessure della crosta sono come richiami al mondo campestre: sembrano solchi di aratro, e così ci troviamo a pensare al contadino sul far della sera, al campanile del paese, sono appena suonate le sette e lui si asciuga la fronte con il risvolto della giacca, fine del lavoro.

Al momento dell’incontro fra la crosta e la mollica, invece, davanti al nostro sguardo interiore si materializza un mulino: attorno alla macina vola la polvere di grano, l’aria è satura di pulviscolo volatile. E poi, un nuovo cambio di scena: il palato ha appena sposato la spuma spugnosa liberata dalle costrizioni, e adesso può avere inizio il lavoro delle mandibole. È pane, eppure si mangia come un dolce; ma a differenza della pasticceria, anche di quella da forno, la masticazione del pane sfocia in un risultato sorprendente, un risultato… vischioso. La pallina di mollica masticata e rimasticata alla fine deve amalgamarsi in una massa collosa e tanto compatta da non lasciar passare l’aria; il pane invischia, proprio così, invischia. Chi non ha mai osato impastare a lungo il cuore del pane con i denti, la lingua, il palato e le guance non ha mai trasalito sentendo dentro di sé l’ardente esultanza della vischiosità.



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