Final Girls by Riley Sager

Final Girls by Riley Sager

autore:Riley Sager
La lingua: ita
Format: epub
editore: Giunti


20

«Non ti preoccupare, bella.»

Questo mi dice Sam dopo che l’ho informata della cosa.

«Lo sapevo già. Se fosse stata importante l’avrei portata via.»

Siamo nella sua stanza. Lei fuma alla finestra, io sono appollaiata sul bordo del letto, nervosa.

«E sei sicura che non contenga nulla di incriminante?» chiedo.

«Sicura» risponde. «Ora dormi un po’, dai.»

Vorrei chiederle molte altre cose. Che ne ha fatto dei miei vestiti? Perché mi ha permesso di perdere il controllo in quel modo, nel parco? Sono stata talmente violenta da far riemergere il ricordo di Pine Cottage? Ma non dico nulla. Anche se glielo chiedessi, so che Sam non mi risponderebbe.

Perciò esco e vado in cucina a prendere uno Xanax, poi mi sdraio sul divano preparandomi a un’altra notte insonne. Con mia grande sorpresa, però, riesco ad assopirmi. Sono troppo stanca per opporre resistenza.

La pace dura poco, viene presto interrotta da un incubo che ha per protagonista Lisa. È in piedi a Pine Cottage, con il sangue che le sgorga dai polsi tagliati. In mano ha la borsetta di Sam, impregnata di liquido rosso. Me la porge con un sorriso e dice: Hai scordato questa, Quincy.

Mi sveglio di soprassalto, mettendomi seduta e agitando le braccia. La casa è immersa nel silenzio, ma in soggiorno risuona il riverbero di un’eco. Un grido, forse, che mi è uscito di bocca. Per un minuto aspetto che inevitabilmente qualcuno si svegli. Di certo sia Jeff che Sam mi hanno sentito. O forse, invece, non ho urlato davvero. Forse l’ho fatto soltanto nel sogno.

Guardo fuori dalla finestra e vedo che il cielo si sta schiarendo. Arriva l’alba. So che dovrei provare a dormire un po’, che presto crollerò per la stanchezza, ma ho i nervi a fior di pelle. L’unico modo per distenderli è tornare nel parco a recuperare la borsetta.

Sgattaiolo in camera, dove con mio grande sollievo Jeff dorme ancora profondamente. Indosso in fretta dei vestiti sportivi e un paio di guanti senza dita per nascondere le nocche ferite.

Esco di casa e inizio subito a correre, attraversando a tutta velocità gli isolati che mi separano dal parco. Sfreccio lungo Central Park West, la attraverso sotto la luce dei lampioni senza guardare, costringendo un taxi a inchiodare per non travolgermi. L’autista suona il clacson, ma lo ignoro. Ignoro ogni cosa mentre volo sull’asfalto diretta al punto in cui mi è caduta la borsa. Lo stesso in cui ho picchiato un uomo con così tanta violenza da farlo somigliare a una mela bacata.

Ora, però, quell’uomo non c’è più. E neanche la borsetta. Al loro posto c’è la polizia, una dozzina di agenti all’interno di un perimetro delimitato dal nastro giallo. Sembra la scena di un omicidio, quelle che si vedono nei telefilm polizieschi. Gli agenti setacciano l’area, parlando tra loro e bevendo caffè da bicchieri di carta fumanti.

Mi fermo, corricchiando sul posto. A dispetto dell’ora ci sono molti curiosi che osservano la scena sotto il cielo plumbeo.

«Che cos’è successo?» chiedo a una signora anziana, uscita per portare a spasso un cane dall’aria altrettanto decrepita.

«Hanno aggredito un tizio.



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