Il vagabondo delle stelle by Jack London

Il vagabondo delle stelle by Jack London

autore:Jack London
La lingua: ita
Format: azw3, epub, mobi
ISBN: 9788845971921
editore: Adelphi
pubblicato: 2017-12-25T23:00:00+00:00


Hendrik Hamel, da quel tipo scaltro e calcolatore che era, sosteneva ed anzi incoraggiava le mie scanzonate imprese perché in tal modo il favore di Kim finiva con il cadere anche su di lui e su tutto il nostro gruppo. Con me Hamel si comportò da vero e proprio consigliere, e a Keijo ebbe un ruolo notevole nel farmi conquistare il favore di Yunsan, il cuore della Signora Om e la benevolenza dell’imperatore. Non mi mancavano, per un simile scopo, forza di volontà, coraggio e intuito, ma riconosco senz’altro che per quanto riguarda quest’ultima qualità debbo moltissimo a Hendrik Hamel.

E così, una città fortificata dopo l’altra, procedemmo fino a Keijo attraverso una terra ricca di rilievi innevati, fra i quali si stendevano innumerevoli e fertili valli. Ogni sera, al calar del giorno, si scorgevano segnali luminosi che correvano di picco in picco. Ciò accadeva ovunque e Kim osservava con grande attenzione questo spettacolo notturno. Si trattava, mi spiegò, di una specie di linguaggio luminoso: questi segnali confluivano a Keijo da tutte le coste del paese per portare messaggi all’imperatore. Se il fuoco era uno solo, ciò significava che il paese era in pace; due fuochi annunziavano invece una rivolta o un’invasione. Noi ne vedemmo sempre uno solo. Ciò nonostante Vandervoot, che quando eravamo in marcia chiudeva la fila, non mancava di chiedere: «Anche questa?».

Keijo era una grande città, la cui intera popolazione (eccezion fatta per i nobili o yangban) era vestita del solito colore bianco. Quest’abitudine, mi spiegò Kim, consentiva di distinguere automaticamente una casta dall’altra. Il grado di pulizia degli abiti, infatti, faceva capire a prima vista a quale classe appartenevano i singoli cittadini. Era comprensibile che il vestito di un coolie fosse sporchissimo, dato che non ne possedeva altri, ed era comprensibile che chiunque andasse in giro con un abito immacolato doveva possederne numerosi di ricambio e contare sull’opera delle lavandaie per conservarli in quello stato. Gli yangban, che sfoggiavano i loro delicati e multicolori vestiti di seta, non avevano nulla a che fare con classificazioni di questo genere.

Per diversi giorni sostammo in una locanda per riposarci, rammendare i vestiti e far scomparire i segni lasciati dal naufragio e dalle fatiche del viaggio, dopo di che fummo chiamati al cospetto dell’imperatore. Davanti al palazzo imperiale si apriva un largo spiazzo dove c’erano dei colossali cani di pietra. Accovacciati su massicci piedistalli del medesimo materiale, avevano piuttosto l’aspetto di tartarughe. Le mura del palazzo, in pietra istoriata, erano di un’altezza impressionante e talmente spesse che perfino il più potente dei cannoni neanche dopo un anno d’assedio sarebbe riuscito ad aprirvi una breccia. Il solo portale di ingresso, a forma di pagoda a più piani di ampiezza decrescente e col tetto di tegole, aveva le dimensioni di un palazzo. Vi montavano la guardia soldati in ricca uniforme, i Cacciatori di Tigri di Pyongyang, vale a dire – a quanto mi spiegò Kim – i guerrieri più coraggiosi e temibili di cui il paese potesse menare vanto.

Ma basta così. Per descrivere



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