Le Grandi Storie della Fantascienza 18 (1956) by Isaac Asimov

Le Grandi Storie della Fantascienza 18 (1956) by Isaac Asimov

autore:Isaac Asimov [Asimov, Isaac]
La lingua: eng
Format: epub
editore: FSBook
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Andai direttamente nel mio ufficio. Le segretarie m'ignorarono, perfino quando rivolsi loro la parola. Non persi tempo. Le superai ed aprii la porta del mio ufficio.

Un altro uomo sedeva alla mia scrivania. Sopra di lui, sulla parete, il Totem dell'Aquila guardava giù con i suoi occhi vitrei.

Chiesi: «Chi diavolo è lei?»

«Il Presidente Nero». Era soltanto un po' sulla difensiva.

«Se ne vada dal mio ufficio» intimai.

Guardò i miei indumenti, un po' scioccato alla loro vista.

«Non dovrebbe indossare..» cominciò a dire. Vi fu una piccola esplosione di rabbia e di confusione nella mia testa. Mi lanciai sopra la scrivania e cercai di agguantarlo per la camicia, con l'intenzione di trascinarlo fuori dalla sua poltrona e... e fargli qualcosa, non so cosa, qualcosa di violento.

Ma lui fece scivolare la poltrona all'indietro, quel tanto che bastava. Persi l'equilibrio e finii lungo disteso sul ripiano della scrivania, stringendo l'aria. E lui non disse una parola. Si limitò semplicemente a guardarmi con una punta di pietà sul viso, mista a un po' di orrore. Nel suo modo di pensare, io ero morto, e avrei dovuto rimaner morto.

La violenza mi lasciò. Sapevo quanto apparivo sciocco, disteso là sulla scrivania quando per diritto avrei dovuto trovarmi sull'altro lato, perfettamente al sicuro, con la gente che entrava impaurita dalla mia. persona ma sforzandosi di non mostrarlo.

Mi raddrizzai e mi tirai giù i polsini della camicia, mi lisciai i vestiti che indossavo illegalmente. Con calma dissi: «Un Presidente Nero può venir nominato soltanto se il suo predecessore muore. Lei lo sa. Questo, cosa fa di lei?»

«Lei non è vivo» disse, e aggiunse: «Santissimo».

«La pianti!» esclamai con impazienza. Un istante dopo aggiunsi: «Suppongo che la pubblicità sia stata trasmessa mentre ero privo di sensi. Chi ha rubato la mia anima? Lei?»

Lui annuì.

«Chi l'ha ordinato?»

«Questo non ci porta da nessuna parte, santissimo» rispose. «Sarà meglio che lei vada a trovare il Presidente Bianco».

Esalai lentamente il respiro. Era così, dunque. Quando l'uno o l'altro dei presidenti muore, il sopravvissuto nomina il successore.

Quando l'uno o l'altro dei presidenti viola un tabù, l'altro amministra la giustizia. Così, Thornvald aveva preso in mano le cose, senza dirmi una parola, dietro le mie spalle, mentre ero malato e privo di sensi.

«Andrò a trovarlo» dichiarai, e mi girai verso la porta che si apriva sul ponte. Con una mano sulla maniglia mi voltai a guardare. Era una strana sensazione. Niente era cambiato nel mio ufficio tranne l'uomo dietro la scrivania. Ogni cosa era esattamente come l'avevo sempre tenuta io, tutte le cose dell'ufficio di una persona alle quali ci si abitua, che alla fine diventano parte integrante di noi. Ed erano ancora parte di me. Ma adesso erano collegate anche all'uomo seduto sulla mia poltrona. Era come una ragnatela con due centri, e talvolta pareva reale una serie di fili dentro l'altra.

«Tornerò» promisi, e varcai la soglia.

Ancora una volta, attraversare il ponte era come percorrere la strada dell'aquila sopra le due miglia di estensione del Centro Comunicazioni. All'altra estremità c'era Thornvald, in piedi accanto a una finestra, intento a guardare giù.



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