Questo bimbo a chi lo do by Valentina Persia

Questo bimbo a chi lo do by Valentina Persia

autore:Valentina Persia [Persia, Valentina]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Solferino
pubblicato: 2020-02-14T23:00:00+00:00


10

«Secondo te, li amo?»

Sono passati due mesi che sembrano anni. Sono ancora qui, faccia al muro, le tette munte dall’oggetto infernale.

«Guarda che se serve abbiamo il latte artificiale, smettila di mungerti.» La voce di Barbara ha una punta di biasimo, come se voler provvedere ai miei figli durante la mia assenza fosse una colpa.

La colpa, invece, la sento gravare su di me come un macigno mentre preparo la valigia che mi porterà lontana da loro per una notte. La prima notte senza i miei figli, la prima serata da quando sono nati.

Sento un bisogno disperato di riprendere il lavoro, di ricominciare a vivere, di ritrovare l’altra Valentina, quella sicura di sé, libera, selvaggia, ma allo stesso tempo sento tutta la fatica di abbandonare il torpore di questi mesi, di rimettermi in gioco e, soprattutto, di lasciare i miei figli. Mi chiedo se questa paura non nasconda in realtà quella di stare bene senza di loro, di non voler tornare, di scoprire che davvero non li amo.

Sono le cinque del pomeriggio e Marco è passato a prendermi per andare in aeroporto. Ho scelto il volo del tardo pomeriggio e tornerò col primo volo della mattina. Mi sento inquieta, non voglio tornare tardi, non voglio concedermi una mattina a dormire, non voglio che mi piaccia.

Salgo in macchina e chiedo a Marco di costeggiare il litorale, voglio vedere il mare, voglio respirare. Abbasso il finestrino, ho il diaframma bloccato come sempre, cerco aria, cerco di sbadigliare ma anche lo sbadiglio mi si blocca in petto.

Marco si gira un istante verso di me: «Vale, tutto bene?» e mi basta quella domanda per esplodere.

Sono un fiume in piena, vomito tutta la mia angoscia, tutta la mia paura: «No, non va per niente bene, Marco. Io non sento niente, non so se li amo o no. Ma secondo te li amo? Perché io sento solo questo senso di colpa all’idea di lasciarli, ma non so se è solo il mio senso del dovere oppure è perché li amo. Io non lo so».

Marco sospira. Ha quasi settant’anni, il mio procacciatore di serate più serio, quello che considero quasi un padre. Non ha bisogno di altre spiegazioni, ha già capito.

Prova a rassicurarmi: «Stai tranquilla, sono i tuoi figli. Certo che li ami. Tu li adori. Ma insomma, eri una che viaggiava per venti giorni al mese, facevi tutta un’altra vita, è normale che adesso ti senti braccata».

Guardo il suo braccio magro e abbronzato posarsi sicuro sul cambio. La sua sicurezza mi seda, mi sento protetta, a casa. Finalmente respiro.

Lascio che le sue parole raggiungano il mio sistema nervoso, mi godo l’effetto calmante del suo odore, della sicurezza della sua voce. Dopo un po’, però, l’ansia torna. È sempre così, in questi giorni. Cerco sempre una frase, una parola, qualcosa che mi faccia vedere un po’ di luce e mi ci attacco disperatamente. Poi, l’effetto passa e io sono di nuovo a rota, alla ricerca di una nuova dose di rassicurazioni.

Arriviamo in aeroporto, sbrighiamo le pratiche d’imbarco, ma io sono in attesa.



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