Riemersi by Matteo Cavezzali

Riemersi by Matteo Cavezzali

autore:Matteo Cavezzali [Cavezzali, Matteo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Solferino
pubblicato: 2023-01-15T00:00:00+00:00


3.

Il fango era stato tanto: infinito, implacabile. Ci avevano messo una vita a spalarlo, con gli stivali di gomma, le vanghe, i pantaloni arrotolati al ginocchio, ma avevano perso tutto lo stesso. Il Villaggio Labriola era stato sepolto e avevano dovuto sfollare in una palestra per mesi.

Giada ci ripensa oggi, undici anni dopo, quasi per caso. Le attraversa la mente, come un flash, il balcone al piano rialzato che era stato, per una breve estate, il palcoscenico su cui esibirsi e sentirsi importante: speciale.

Sarà che adesso, nell’ultimo appartamento popolare che è stato loro assegnato, un balcone non ce l’ha affatto e persino stendere i panni è complicato. Sarà che è tanto stanca, e la mente se ne va per conto suo, e i ricordi ogni tanto affiorano ribelli.

Sta imboccando suo figlio più piccolo che però, forse a causa dei denti, non ne vuol sapere di mangiare, fa i capricci. Giada ha altri due figli che adesso sono a scuola. Lei non lavora: il marito ha detto che va bene così, che ci pensa lui ai soldi, e lei è meglio che si occupi della casa. È ancora bionda, ma i tre parti l’hanno appesantita sui fianchi e la pancia non è più tornata come prima. Le notti insonni le hanno scavato delle rughe precoci intorno agli occhi. È stata bella e felice per così poco. Libera forse mai, si ritrova a pensare. Specialmente ora, con questo marito sempre nervoso, a volte furibondo, che non è più il ragazzo gentile sposato dopo essere rimasta incinta.

Si alza, afferra uno strofinaccio per pulire il seggiolone. Prende in braccio suo figlio e si avvicina alla finestra a guardare fuori. È sempre stato questo, no, il suo destino? Stare al di qua di un vetro, di una ringhiera. Qualche livido sotto il pigiama ce l’ha, ma del resto anche questo fa parte del gioco: il marito te lo tieni quando porta lo stipendio, e quando rientra ubriaco. Il bambino piagnucola. Giada lo culla spazientita. A volte ci ripensa, a quel ragazzo. A quella specie di fuga dalla realtà che avevano tentato insieme.

Naturalmente aveva saputo. Nonostante l’alluvione, la notizia era arrivata subito. E poi lo aveva anche visto: una brutta foto al telegiornale. Omicidio, avevano detto. E lei aveva sentito il cuore indurirsi fino a diventare pietra.

«Stupida» si dice. «Hai tante di quelle cose da fare: i letti, la spesa, il pranzo. Altro che pensare a… Come si chiamava? Marcello.»

Sistema il bambino a terra sul tappeto morbido. Imbraccia l’aspirapolvere. «Pensa a tutte ’ste briciole, piuttosto» si ammonisce di nuovo a voce alta, in quella solitudine, in quel perimetro che non oltrepassa mai.

E intanto risente da qualche parte, come in salvo dal tempo, le loro risate sulla Mini lanciata a folle velocità verso l’acquapark, quando facevano gli scemi, quando era stata così viva.

Un frammento di luce: abbagliante, illusorio. Poteva valere la felicità di un’intera vita?

Nello stesso istante, Marcello è seduto in una stanza buia del carcere della Dozza e sta guardando, insieme agli altri detenuti che hanno aderito al progetto cineforum, un film del 1962, di Stanley Kubrick.



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