Ritratti italiani by Alberto Arbasino

Ritratti italiani by Alberto Arbasino

autore:Alberto Arbasino [Arbasino, Alberto]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2020-01-18T16:00:00+00:00


RENATO GUTTUSO

Altri – specialisti – hanno già assai parlato e parleranno assai della felicità saporita, proposta quale connotazione estroversa ed esplicita, di questa Mostra Guttusiana che illustra e rispecchia e ridisegna soprattutto la lunga felicità di un talento e un’arte e una carriera straordinariamente capaci di tener d’occhio tutto e conciliare molto nei più diversi livelli e settori e categorie, rinnovandosi con felici svolte periodiche, falcate, zampate, riprese, adesioni istintive o critiche, slanci tempestivi, accorti rifiuti. Felicità artistica, espressiva, emotiva, di mestiere, di vita: a costo di sfiorare atmosfericamente, passando per la Laguna, la Felicità dopo la noia e i Viaggi felici di un autore così lontano da Guttuso com’è Giovanni Comisso. Ma c’erano le sue agavi dal Circeo nelle bianche camerette già di Zeffirelli e Bolognini e Tosi sui tetti di via Mario de’ Fiori. E felicità ora addirittura festosa, per cinquant’anni di pittura e su due piani di Palazzo Grassi, giacché l’esposizione con le proprie scelte rimuove alcune realtà fra le più sgradevoli e «da dimenticare» nella nostra epoca: le brutte guerre dei nostri anni tragici, con quelle punte anti-tedesche oggi forse dissonanti, e il consumismo mercantile medio-basso proliferante nell’età del benessere.

Anche la non-felicità può venir presentata come teatrino veneziano, nei cinquant’anni di felicità sui due piani? Dopo la gran passione arrabbiata e creativa e il poverismo sontuoso delle composizioni corali, sociali, ecco le allegorie della drammaticità individuale, intima, inquadrate come fondali scenici tra sorridenti quinte di agrumi solari. E, tesa fra i piloni di alcune «grandi opere» illustri, la felice «tenuta complessiva» di un’intera opera artistica illuminata dai felicissimi sprazzi critici di Cesare Brandi: «catalogo delle navi», i Funerali di Togliatti; «ritorno di Persefone», carica di commestibili, la gran Vucciria palermitana; «non dato incondito che vada a posarsi sulla tela come mosca importuna». Il realismo tutto.

Ma dopo i fastosi incanti della Crocifissione e della Zolfara, dopo gli splendidi interni e ritratti e paesaggi e disperazioni, dopo il crepitìo ricco e fitto di ammicchi e segnali a episodi insigni o umbratili della tradizione figurativa, lo spettatore profano legge questo grosso evento veneziano anche come episodio significante nella storia sociale e un pochino politica del nostro Paese.

Rinascimento della Serenissima, non soltanto come fenomeno turistico, vitalistico, giovanile; né come conseguenza della gran massa di soldi in giro per l’Italia, che non sa bene dove posarsi e volentieri si indirizza verso i ristoranti e i prodotti di lusso e gli immobili nelle capitali artistiche interne. E neanche più meramente quale prolungamento e sviluppo delle tendenze serenissime contemporanee: Venezia, oggi, non più produttrice magnifica e diretta d’arte e spettacoli e letteratura ed editoria (nonché di industrie e commerci), però grande espositrice e celebratrice di manufatti artistici e librari e giornalistici e scenici prodotti altrove, e intanto cerimoniera suprema di attività finanziarie quotate in tutt’altre Borse. In verità, sembra piuttosto di assistere alla resurrezione della tradizionale diplomazia della millenaria Repubblica, ben più scaltra e sapiente e «professional» che i nostri più celebrati statisti repubblicani recenti nell’organizzar Mediazione, Consenso, e magari Compromesso Storico nel suo senso più profondo, pensato, sentito, italiano, reale.



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