10 rivoluzioni nell'economia globale by Stefano Feltri

10 rivoluzioni nell'economia globale by Stefano Feltri

autore:Stefano Feltri [Feltri, Stefano]
La lingua: ita
Format: epub
editore: DEAGOSTINI LIBRI
pubblicato: 2024-02-09T12:00:00+00:00


Questione di soldi

La destra italiana non è sola su queste posizioni, ovviamente. Ci sono paesi come la Russia che si oppongono di fatto all’idea stessa di transizione ecologica, contestano la legittimità dell’obiettivo di contenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi invece che farsi bastare il vecchio obiettivo di due gradi.

L’opinione della Russia conta ben poco, dopo l’invasione dell’Ucraina, ma le posizioni più radicali o “ambiziose”, per usare la parola più diffusa nei comunicati stampa dopo i vertici climatici, si scontrano comunque con l’enormità della sfida. Non soltanto tecnica e culturale, ma economica.

Per la transizione ecologica servono tanti soldi. Forse troppi. La Climate Policy Initiative aggrega e analizza i flussi di investimento pubblico e privato verso tecnologie utili a rallentare la crisi climatica e a gestirne gli effetti. Tra il 2019-2020 e il 2020-2021 gli investimenti sono quasi raddoppiati: da 650 miliardi di dollari in un anno a 1300 miliardi. Buona notizia, ma servirebbero tra i 5400 e gli 11 700 miliardi all’anno entro il 2030 e tra 9300 e 12 300 tra 2030 e 2050.

Sono cifre esorbitanti, difficili da trovare, anche perché servirebbero solo a prevenire danni futuri, non a spingere la crescita.

Con 266 000 miliardi di dollari complessivi tra 2025 e 2050 si evitano 1 200 000 miliardi di danni, ma comunque ne subiremo 1 062 000 miliardi per gli effetti dei cambiamenti climatici già consolidati.

Ci vuole molto ottimismo per pensare che si possano raggiungere simili obiettivi, specie con tassi di interesse elevati che rendono gli investimenti più onerosi.

Dobbiamo rinunciare? Fare qualcosa è meglio che non fare niente. E ogni anno a livello mondiale si spendono settemila miliardi di sussidi ai combustibili di origine fossile. Spostarli su tecnologie verdi aiuterebbe, ma gli elettori – prima ancora che le aziende petrolifere – sono disposti a pagare di più i carburanti?

Visto che un intervento diretto per legge, con tagli drastici della tassazione favorevole alle industrie inquinanti, è molto complicato, oggi lo strumento nel quale si ripongono più aspettative è una tassa sulle emissioni. O meglio, dare un prezzo all’anidride carbonica.

In un intervento congiunto sul “Financial Times”, le tre donne al vertice della globalizzazione hanno presentato le ragioni a sostegno del prezzo alle emissioni. Kristalina Georgieva (Fondo monetario internazionale), Ursula von der Leyen (Commissione europea) e Ngozi Okonjo-Iweala (Organizzazione mondiale del commercio) sostengono che non ci sono molte alternative, visto che le soluzioni sperimentate tra l’accordo di Parigi del 2015 e oggi non stanno funzionando e che i tassi di interesse elevati rendono più costosi e problematici progetti che richiedono emissione di debito.

Dare un prezzo all’anidride carbonica equivale di fatto a tassare chi inquina. E, per quanto sembri paradossale, questo tipo di tasse è l’arma più potente di cui disponiamo per arginare la crisi climatica.

L’intuizione risale al 1920 e al grande economista inglese Arthur Cecil Pigou che aveva capito l’importanza delle cosiddette “esternalità negative”, cioè delle conseguenze dannose di nostri comportamenti il cui costo viene sostenuto da altri.

L’inquinamento è il tipico esempio di esternalità negativa: la fabbrica che scarica liquami tossici nel



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