Andare per i luoghi di Ulisse by Maurizio Harari;

Andare per i luoghi di Ulisse by Maurizio Harari;

autore:Maurizio, Harari; [Harari, Maurizio ]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Ritrovare l'Italia
ISBN: 9788815353887
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2019-08-15T00:00:00+00:00


17. Tomba dell’Orco III, accecamento del Ciclope (Tarquinia).

18. Tomba dell’Orco II, Agamennone e Tiresia (Tarquinia).

Due osservazioni s’impongono: una riguarda l’ambientazione, l’altra l’aspetto dei personaggi raffigurati. Il paesaggio non è di sicuro quello più o meno esotico dell’isola dei Beati né dei Campi Elisi, ma il canneto rimanda alle paludi acherontiche, con le stesse modalità dell’immaginario infernale delle lekythoi attiche a fondo bianco: vasi funerari per olio profumato prodotti ad Atene nel V secolo con raffigurazioni, in particolare, di donne e bambini al traghetto di Caronte. Nella Tomba dell’Orco il Caronte traghettatore non c’è – o, per lo meno, non se ne conserva traccia nei dipinti superstiti – ma ci sono ali di demoni e lo stagno e le canne e soprattutto il volo inquieto delle animule tra le canne.

Quanto agli eroi, si presentano con monumentale carnalità, quasi fossero ancora viventi. Estranea è infatti alla mentalità del pittore etrusco qualunque pretesa di rendere sul piano visuale l’inconsistenza delle psychài, le anime omeriche: «tre volte a me dalle mani, a ombra simile o a sogno, / volò via», è la madre Anticlea, che Ulisse prova invano ad abbracciare (Od. XI, 207-208). Questi sono eidola, piuttosto che psychài: vere immagini, quantunque fantasmatiche, dei morti. È come se il beveraggio di sangue fumante ridesse apparenza di corporeità e individualità alle silhouettes altrimenti indistinguibili che fremono nel canneto. Imperiosa necessità di comunicazione visiva, certo, ma per noi moderni anche una metafora, quasi, della narrazione, che chiama intorno al bothros della memoria le ombre sottili dei morti, le alimenta e restituisce a una specie di vita, commovente e smisurata.

Tutti i fantasmi guardano verso la porta d’ingresso alla camera, che non è mai stata scavata e appare ancora ingombra di terra. A destra della porta, in resti pittorici ormai pressoché illeggibili, qualcuno ha creduto di ritrovare, di nuovo, l’immagine di Ulisse: fra lembi ondeggianti di chitoni, due mani afferrano il dorso di un quadrupede, che potrebbe essere (ma non è con certezza) una pecora.

Molto più chiare le immagini delle altre pareti della camera seconda, in particolare di quella di fondo, che svela la coppia dei sovrani degl’Inferi, Phersipnai (Persefone) e Aita (Ade), seduti in trono, entro una caverna vigilata da Cerun (Gerione), il guardiano tricipite dell’estremo Occidente: Persefone ha capelli rossi e non domi, legati a chignon da una corona di serpentelli; Ade porta un cappuccio ricavato da una spoglia di lupo. Nell’Odissea questo interno domestico non si può vedere: il domos Aidos, la Casa di Ade, è un altrove e un da basso da cui salgono e in cui vengono quasi risucchiate, al congedo, le psychài; ma per la percezione semplice del pubblico di un funerale etrusco dovevano essere importanti l’hic e il nunc dell’esserci, una definizione non equivocabile dello spazio e delle sue relazioni interne: e perciò, se il canneto acherontico è prossimo alla porta di accesso alla tomba, la dimora di Ade e Persefone sarà discosta, ma resa doverosamente visibile a evitare, altrimenti, l’ambiguità di un’incomprensibile reticenza topografica. Né possono mancare Teseo e Piritoo,



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