Attenti al Sud by Pino Aprile & Maurizio de Giovanni & Raffaele Nigro & Mimmo Gangemi

Attenti al Sud by Pino Aprile & Maurizio de Giovanni & Raffaele Nigro & Mimmo Gangemi

autore:Pino Aprile & Maurizio de Giovanni & Raffaele Nigro & Mimmo Gangemi [Aprile, Pino]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858518519
editore: Piemme
pubblicato: 2017-10-09T22:00:00+00:00


PER UNA CULTURA RIBELLE

di Raffaele Nigro

Nella letteratura campana, pugliese e siciliana degli ultimi trent’anni ciò che ha prevalso, pure nelle dovute differenze, è stata una scrittura collocata tra Montesano, Ferrandino, Carofiglio, Camilleri, Saviano, con la denuncia e la descrizione di una società devastata e abbrutita dal malaffare, dalla delinquenza organizzata e dalle contrapposizioni tra cosche. Per la verità, dalla chiusura de «Le ragioni narrative», il gruppo-rivista che nacque nell’immediato dopoguerra e che visse all’incirca fino alla fine degli anni Sessanta, la grande Napoli, madre di tutte le scritture meridionali, ha taciuto. E la forma di produzione emersa in quegli anni in cui era tramontata la stella di Eduardo è stata la rivisitazione della cultura popolare in una chiave di ricerca di archetipi barocchi quali andavano esprimendo la Nuova compagnia di canto popolare, Peppe Barra, Eugenio Bennato e Roberto De Simone. Dunque uno scavo all’interno del ventre popolaresco dell’antica capitale. È stato forse dalla metà degli anni Settanta e dai primi anni Ottanta, con Erri De Luca, Domenico Starnone e Fabrizia Ramondino che si è ripreso a riflettere e a scrivere, secondo quella forza che era nel dna della scrittura classica napoletana e che negli ultimi decenni aveva avuto voci come La Capria, Prisco, Pomilio, Compagnone, Rea, Incoronato, Bernari. Era una sorta di contraccolpo che Napoli subiva dopo la conquista sabauda, l’annessione all’Italia unita, le emigrazioni, il fascismo, la guerra, la ripresa della camorra.

Più vivaci erano state le altre regioni meridionali, con Sciascia, Bufalino e Consolo in Sicilia, Maria Marcone, i due Saponaro, Bodini e Di Ciaula in Puglia, Strati, Repaci, Pedullà in Calabria e Riviello, Festa Campanile, Giagni, Pierro, Sinisgalli, Scotellaro in Basilicata.

Provo ora ad avvicinarmi al mio paese (sono nato a Melfi, in provincia di Potenza), che forse conosco un po’ meglio, una volta conclusa, anche se sommariamente, l’analisi della topografia letteraria del Mezzogiorno. Per anni ho potuto guardare la mia regione dall’esterno, da Roma o da Bari, luoghi dove sono andato a lavorare e a vivere. Mentre l’ho vissuta dall’interno solo le poche volte che ci tornavo, soprattutto attraverso i racconti che mi venivano da amici e parenti.

Melfi, l’area del Vulture, significa tanti monumenti sorti nel tempo della rinascenza normanna, sveva e angioina: la cattedrale di Acerenza, la cattedrale di Venosa, i castelli di Melfi, Lagopesole e Palazzo San Gervasio, i donjon normanni e le chiese di Rapolla, Pierno, Ripacandida. Edifici che spero riescano a sovvertire l’immagine sbilenca che si è venuta a creare in quel polo industriale e se non altro almeno a bilanciare le prospettive metalmeccaniche, agricole e delle pale eoliche fiorite come un Golgota infinito, con la bellezza dei centri di interesse culturale e paesaggistico. Altrimenti rischiamo di ripetere ciò che è accaduto a Torino. Torino è diventata nel Novecento e soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta quasi esclusivamente Mirafiori, cioè la città della Fiat, un polo metalmeccanico, e gli Agnelli, che hanno chiamato tanto meridione al Nord, e distribuito ricchezze e cassa integrazione nella stessa Torino, purtroppo hanno ucciso l’immagine turistica di quella città.



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