Gli ultimi incantesimi by Silvana de Mari

Gli ultimi incantesimi by Silvana de Mari

autore:Silvana de Mari
La lingua: ita
Format: azw3, epub, mobi
Tags: Fantasy
editore: Salani
pubblicato: 2008-11-06T00:57:18+00:00


Il palazzo reale di Alyil era più stretto e alto di tutto il resto, coperto di enormi glicini con un profumo dolciastro come quello che c’era una volta a Daligar.

Rankstrail aveva la nausea.

L’avrebbe fatto. Doveva farlo. Qualcuno doveva farlo e come sempre lui era il più adatto.

Poi avrebbe potuto andare a cercare Inskay il Nano e i suoi, dopodiché, se tutti se ne fossero rimasti tranquilli, sarebbe tornato a casa.

Rankstrail trascinò il ginocchio dolente su per un bellissimo scalone, enorme, che saliva dal giardino in due rampe che divergevano e poi si incrociavano.

«È dentro, Sire» sussurrò uno degli uomini di guardia, indicando con la testa un’imponente doppia porta di legno intarsiato, sormontata da una mezzaluna di pietra con un altorilievo di fiori.

«Desiderate la nostra presenza?» chiese Trakrail. «Forse sarebbe opportuna».

Rankstrail scosse la testa.

«Meglio che ci veniamo anche noi lì dentro, Capitano» insisté Nirdly. «Quello è vecchio, ma è sempre una carogna. Magari fa un incantesimo o ha qualche trappola: non si sa mai. Tu sei zoppo, o tieni il bastone o tieni la spada, meglio che veniamo anche noi».

Rankstrail scosse la testa.

«Non sono tanto zoppo» rispose tranquillo. «Solo un po’».

«Capitano, perché?»

«Difficile da spiegare» mormorò alzando le spalle, ed era una menzogna.

Era semplicissimo: non voleva che gli altri vedessero, che gli altri sentissero.

C’era la concreta possibilità che il disgraziato insultasse Aurora, che la chiamasse donnaccia o qualcosa del genere: Rankstrail non voleva che nessun altro fosse presente.

Voleva esserci solo lui a sentire le idiozie che il Giudice aveva da dirgli.

Erano affari di famiglia.

Rankstrail aprì la grande porta ed entrò in una stanza gigantesca, semibuia per le grandi tende di broccato cremisi. C’erano diversi tavoli, ognuno coperto di alambicchi. La puzza di profumo, anzi di diversi profumi mischiati, era

insopportabile e prese Rankstrail allo stomaco.

Suo suocero, se proprio bisognava chiamarlo così, era in fondo alla sala. Aveva dieci anni di più dell’ultima volta in cui si erano visti, ma era ancora molto bello.

Somigliava ad Aurora. I capelli bianchi gli illuminavano il viso. Non appena lo vide, l’odio riesplose: era più forte di quanto avesse pensato.

«Ah, non hai mandato qualcuno dei tuoi tagliagola. Sei venuto di persona» disse il Giudice. «Tutto sommato, potendo scegliere, avrei preferito uno di quei pezzenti dei tuoi servi».

«Ma non potete scegliere» ribatté Rankstrail. «E quelli che chiamate servi sono soldati. Nelle loro vite molti di loro hanno dovuto patire tragedie tali, a causa vostra, che potrebbero lasciarsi travolgere dall’odio, davanti alla vostra faccia. Sono venuto io a prendervi. Io non voglio la vostra morte. Datemi la vostra spada e sarete al sicuro».

«Sei un miserabile» ribatté il Giudice. «Vieni a prendertela, la mia spada»

aggiunse sguainandola. «Dicono tutti che sei tanto bravo. Coraggio, fammi vedere!»

Nirdly aveva ragione: Rankstrail aveva sottovalutato il fatto di essere zoppo. Si rese conto che la spada dell’altro avrebbe potuto non essere innocua, eppure non sguainò la sua.

Stava cercando di pensare. L’unica cosa che aveva chiara nella mente, disperso in quel tanfo di profumo nella penombra, era che, per quanto odiasse il Giudice Amministratore, non doveva ucciderlo.

«Adesso ho tutto il tempo per guardarti» sibilò il Giudice con voce aspra.



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