Il Che, mio fratello by Il Che mio fratello (Giunti 2017)

Il Che, mio fratello by Il Che mio fratello (Giunti 2017)

autore:Il Che, mio fratello (Giunti, 2017)
La lingua: ita
Format: epub
editore: Giunti
pubblicato: 2018-02-01T05:00:00+00:00


29. Rogelio García Lupo, Un mate en la Habana, y la Argentina en los sueños, Clarín, 15 novembre 2002.

30. Rogelio García Lupo, Trece días entre espías y traficantes de armas, Clarín, 19 agosto 2001.

31. Tipico sandwich argentino, di solito venduto per strada, composto da una baguette farcita con un filetto di manzo o una salsiccia.

32. «Deformatorio» in spagnolo. Si tratta di un gioco di parole con «riformatorio».

«Questa lettera potrebbe essere l’ultima»

Sono venuto a sapere della morte di Ernesto dal giornale il 10 ottobre 1967. Facevo consegne di latticini col furgone. A Buenos Aires non era ancora giorno ed ero appena arrivato al lavoro quando ho visto il titolo devastante sul Clarín, accompagnato da un ritratto di Ernesto che fuma il sigaro: La Bolivia annuncia la morte del Che. La seconda pagina del giornale si apriva con la famosa foto del Che rigido, a torso nudo, con gli occhi aperti, le braccia lungo il corpo e i capelli scompigliati, disteso sulla lastra di cemento nel lavatoio dell’ospedale di Vallegrande. È stato uno shock fortissimo. Tutti commentavano il fatto. I miei colleghi non sapevano che fosse mio fratello. Non dissi nulla.

Non ho dubitato neanche per un attimo che quel corpo inanimato e quello sguardo vitreo appartenessero a Ernesto, anche se ignoravo che si trovasse in Bolivia, così vicino. La famiglia ne aveva perso le tracce quando aveva lasciato Cuba. Nessuno sapeva dov’era, eccetto Fidel e i compagni che combattevano con lui nella regione di Ñancahuazú. Due anni e mezzo prima, il 18 maggio 1965, mia madre era morta di cancro nell’angoscia della sua scomparsa. Qualche settimana prima di morire, senza rivelare che era condannata, aveva espresso a Ernesto il desiderio di tornare a Cuba quanto prima. «Impossibile» le aveva risposto lui in una lettera. «Ti devi armare di pazienza. Vado a tagliare la canna da zucchero, starò via un mese.» Aggiunse che aveva lasciato il ministero dell’Industria per dedicare i successivi cinque anni della sua vita alla direzione di un’impresa. Mia madre conosceva mio fratello meglio di chiunque altro. Questa risposta l’aveva turbata profondamente. Ernesto non le avrebbe mai impedito di partire, anzi di solito insisteva perché lei andasse a Cuba. Era certa che le nascondesse qualcosa. Nessuno era riuscito a toglierle quest’idea dalla testa. Non credeva a una parola della storia delle dimissioni, neanche per mettersi a capo di un’impresa, e ancor meno a quella del taglio della canna da zucchero, anche se un giorno lui le aveva confessato che amava «partecipare alla raccolta; che rappresentava un’evasione, un riposo mentale oltre che un esercizio fisico». Il Che aveva lanciato il programma del lavoro volontario. Consisteva nel mandare i cittadini a lavorare nelle piantagioni o nelle fabbriche una volta a settimana per ritemprarsi lo spirito. Inoltre ognuno – lui compreso – doveva contribuire alla costruzione della società rivoluzionaria come lui la voleva: solidale, altruista e generosa. Il volontariato era uno dei fattori che avrebbe permesso la nascita dell’uomo nuovo, un essere umano diverso la cui coscienza, i cui costumi, abitudini e valori sarebbero stati radicalmente trasformati dall’abnegazione per il bene comune.



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