Il grande fratello di ferro by Charles Stross

Il grande fratello di ferro by Charles Stross

autore:Charles Stross [Charles Stross]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, Science Fiction, General, Collections & Anthologies
ISBN: 9788825406405
Google: oK5hDwAAQBAJ
editore: Delos Digital srl
pubblicato: 2018-06-26T15:54:19+00:00


Quando mi sveglio di nuovo ho la testa che palpita nella morsa di un doposbornia micidiale; mi ci vuole un po’ per realizzare che il terreno si sta davvero muovendo, oscillando dolcemente di lato, e che la stanza si è ristretta notevolmente, trasformandosi da cemento a legno e acquistando un finestrino. Un finestrino rotondo circondato da rivetti, da cui filtra la luce… sono su una barca!

E non sono nemmeno più legato: giaccio completamente vestito su una cuccetta e sebbene la cabina non sia gran che, è sempre meglio di una cantina coi topi nei muri. Cerco di alzarmi a sedere e la testa mi martella come se qualcuno me la picchiasse con un’ascia. Ho la vescica piena da scoppiare e sono affamato, ma per prima cosa trovo il tempo di sciacquarmi la bocca dalla caraffa accanto al lavandino di porcellana sbreccata. Poi rivolgo la mia attenzione alla porta. Una porta perfettamente normale, a parte il fatto che finisce circa quindici centimetri dal pavimento – oh, sì che siamo su una barca, vero? Giro la maniglia e – miracolo! – si apre su un corridoio con porte su entrambi i lati e un’altra socchiusa in fondo. Sono ancora leggermente impaurito mentre mi avvio verso l’uscio lontano: chiunque siano queste persone, il loro comportamento non ha senso.

La porta in fondo al corridoio si apre su una scaletta, e lì c’è già qualcuno. Mi irrigidisco quando lui mi guarda. – Il bagno? – chiedo.

– La latrina è alla tua sinistra. – Indica la direzione da cui sono arrivato, né ostile né amichevole. Mi sento un idiota.

– Grazie. – Provo la porta che ha indicato e sbuco in uno sgabuzzino compatto con dentro tazza e doccia.

Mi accovaccio e mi massaggio il mento. È ruvido della crescita di una barba di due giorni. C’è un teleschermo montato nella paratia di fronte a me, ma qualcosa non va con la mia immagine su di esso. Strano… muovo la mano e poi capisco: non mi sta mostrando nel modo in cui mi vedrebbe la sua videocamera incorporata! Mi raffigura sotto forma di una, una – com’era la parola in archelingua? – immagine speculare. Mi chino per avvicinarmi allo schermo. Agito la mano sinistra: la mano sulla sinistra dell’immagine sullo schermo mi restituisce il saluto. È inquietante: non ci sono componenti elettroniche in quel circuito. È fatto di vetro, banale vetro con un fondo riflettente. Sono nudo, non c’è nessuno qui, solo io e il mio riflesso. Potrei fare qualsiasi cosa e non se ne accorgerebbe! Non solo nessuno mi sta guardando, ma nessuno mi può guardare. Potrei scivolare su una saponetta nella doccia e rompermi l’osso del collo e non lo saprebbe nessuno!

Il pensiero è così disturbante che ritorno nella mia cabina non appena ho finito, invece di esplorare o scappare o qualcos’altro. L’uomo di mezza età, VT320, è seduto sulla cuccetta e mi sta aspettando.

– Vuoi farmi qualche domanda – dice calmo.

– Sì. – Rabbrividisco: – Perché qui non ci sono teleschermi? – Nemmeno teleschermi disattivati, intendo dire, ma la paura mi impedisce di spingermi così oltre.



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