Il prezzo della pandemia by Andrea Ranieri

Il prezzo della pandemia by Andrea Ranieri

autore:Andrea Ranieri [Ranieri, Andrea]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Castelvecchi
pubblicato: 2020-05-19T22:00:00+00:00


Economia

Un grande economista italiano del passato recente, Federico Caffè, polemizzò aspramente contro una scienza economica che faceva sparire le persone dietro i numeri. Per lui fare l’economista significava mettere al primo posto il lavoro e il benessere delle persone. Il pensiero economico aveva un senso se il suo fine era combattere la miseria, la disoccupazione, le sofferenze dell’umanità. Il mainstream economico ha preso purtroppo un’altra strada. Ha continuato a privilegiare i numeri, e ha orientato a partire da qui le pratiche dei governi e dei potenti, giustificando l’enorme concentrazione in poche mani della maggior parte delle ricchezze del mondo. Ha letto la globalizzazione come una pratica in cui tutti avrebbero potuto vincere, affidandosi alle pure logiche del mercato e al modo in cui impresa e finanza tendevano a massimizzare i profitti. Riorganizzare su scala globale le filiere produttive, cercando nel mondo i posti in cui era possibile produrre a costi minori, era vista come una operazione che avrebbe portato benefici a tutti; che avrebbe potenziato la capacità di fare profitti di chi deteneva potere e ricchezza; insieme permesso lo sviluppo industriale dei Paesi più poveri e il mantenimento di prezzi al consumo più bassi nei Paesi sviluppati; messo a valore, da un punto di vista turistico e residenziale – magari per anziani che facevano fatica nei loro Paesi a vivere con le loro pensioni –, posti del mondo dimenticati da Dio; insegnato ai poveri a trarre il maggior beneficio possibile dalle loro risorse naturali, trasformando in agricoltura industriale su larga scala, in allevamenti intensivi, le tradizionali pratiche di sopravvivenza – facendo emergere anche in quei Paesi forme di individualismo consumista, a scapito degli antichi legami comunitari: individui sperduti nelle megalopoli del Sud del mondo, strappati ai loro villaggi e alla possibilità di vivere del proprio lavoro sulla propria terra.

Tutto questo si basa sulla previsione di una crescita infinita. E quando la crescita dell’economia reale frena, il centro dell’economia si sposta verso la finanza. E le decisioni che più contano per il lavoro e la vita degli uomini si concentrano nelle mani sempre più lontane e invisibili dei signori del credito e delle borse, che sono tra l’altro quelli che sanno usare, e mettere a frutto meglio e più rapidamente di tutti, il potere degli algoritmi. La convinzione che finanziarizzare l’economia avrebbe fatto proseguire la crescita arrestata fu l’idea forte che fece accettare questa gigantesca espropriazione del potere degli Stati e dei cittadini. Tutto cominciò alla fine dell’“età dell’oro”, quella che va dal dopoguerra agli inizi degli anni ’70, in cui l’aumento della produzione aveva portato con sé anche un aumento dell’occupazione, dei redditi e dei consumi. L’aumento del prezzo del petrolio e delle materie prime restringeva i margini di profitto, e la stessa possibilità di ridistribuirne una parte ai lavoratori. L’automazione industriale riduceva l’occupazione necessaria a produrre i beni di consumo e di investimento. Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione e la containerizzazione della logistica rendevano possibile tenere insieme cicli produttivi che avevano le loro factory sparse in ogni



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