La nemica by Unknown

La nemica by Unknown

autore:Unknown
La lingua: ita
Format: epub
editore: Neri Pozza
pubblicato: 2017-11-14T23:00:00+00:00


In fuga

Lo sconosciuto aiutò Jeanne a salire sulla carrozza, prese posto di fronte a lei e diede un colpetto al tettuccio. La vettura si mise in movimento. Jeanne gli fu grata del suo silenzio. Aveva bisogno di ritrovare la calma. Appoggiò la testa contro il vetro e guardò allontanarsi il cupo edificio dov’era stata inghiottita per undici mesi e diciassette giorni: una cittadella pensata per la sofferenza di ottantamila anime. Non riuscì a individuare la Forza, non aveva punti di riferimento. Immaginò la sua cella vuota, i doni di Tillet abbandonati, la Bibbia. I libri di devozione non le servivano più. Non sarebbe mai più tornata in quell’inferno. Se l’avessero presa, si sarebbe uccisa. Era entrata alla Salpêtrière priva di sensi e ne usciva con quell’unica certezza. Ricordò i giorni, i mesi, le mortificazioni, il freddo, l’orrore e si stupì di essere ancora viva. Gli occhi si riempirono di lacrime. Marianne, seduta accanto a lei, le strinse la mano, il suo accompagnatore le porse un fazzoletto e lei finalmente lo guardò in faccia. Era un quarantenne bruno, gli occhi rossi da lupo, i lineamenti deturpati dai segni del vaiolo.

«Signora, stiamo andando a Charenton, dove passeremo la notte e potrete cambiarvi d’abito. Domani proseguiremo per il Lussemburgo».

Le parole dell’uomo la destarono. Il passato non doveva distoglierla dal presente, doveva smettere di piangere e riprendere in mano la sua vita. «Perché in Lussemburgo?» chiese.

«Per aspettare che le acque si calmino, prima di scegliere la vostra destinazione».

«La mia destinazione è Londra, dove vive mio marito».

«E dove, infatti, tutti si aspettano di vedervi arrivare. Controlleranno i porti di Calais e di Le Havre, non possiamo rischiare».

«E quanto dovrò rimanere in Lussemburgo?»

«Dipende».

Intanto la carrozza si era fermata alla porta sud-orientale della città; lei si acquattò sul fondo della vettura, ma nessuno si affacciò per controllare i documenti. Soltanto quando si rimise in marcia, Jeanne chiese: «Non mi avete ancora detto il vostro nome».

«Perdonatemi. Mi chiamo Jules Saint-Martin, sono francese, ma sono cresciuto a Londra».

«Ecco perché non riesco a distinguere il vostro accento».

L’uomo sorrise.

«Per chi lavorate?»

«Per il mio paese».

«Capisco, ma io ancora non so chi devo ringraziare. Potete dirmi il nome del mio benefattore, o della mia benefattrice?»

«Lo saprete presto e comunque non spetta a me informarvi».

«Allora, per il momento ringrazio voi».

«Vi assicuro che ho fatto ben poco».

Jules Saint-Martin non mentiva. Lui non era che un portatore, la stava portando lontano dalla Francia. Il suo capo Parker Forth era riuscito a convincere Miromesnil a firmare la grazia di Angélique. Una volta ottenutala, con una complice in grado di entrare e uscire dalla Salpêtrière, era stato semplice. Quasi tutti dentro l’Ospedale tifavano per la prigioniera. Jeanne si levò il cappello, lo posò sul cuoio odoroso della vettura e chiuse gli occhi. Era stanca morta, eppure la mente non voleva spegnersi… In testa le scorrevano i frammenti delle ultime ventiquattr’ore. Il volto commosso di Tillet, l’odiosa sorella Marthe, lo sguardo sospettoso di sorella Pélagie, il senso di smarrimento nella corte Saint-Louis, il crocefisso della cappella che aveva supplicato, la paura di non farcela.



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