L'enigma di Macallè by Luca Ongaro

L'enigma di Macallè by Luca Ongaro

autore:Luca Ongaro [Ongaro, Luca]
La lingua: ita
Format: epub
editore: SEM
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


26

La trattoria Da Franco era l’unico posto decente, a Negash. Era un locale a gestione familiare dove si mangiava abbastanza bene, come testimoniava il parcheggio sul davanti pieno di camion, furgoni e Campagnole anche di domenica. Campani c’era già stato altre volte. Si accomodarono a un tavolino d’angolo nel grande salone piuttosto affollato e rumoroso.

La figlia di Franco venne a prendere le ordinazioni e posò sul tavolo un cestino di pane e grissini.

«Oggi, di primo abbiamo lasagne, spaghetti al ragù o al pomodoro, riso con le verdure o minestrone.»

«Lasagne» disse Campani senza esitazione.

«Per me minestrone» fece Emma.

«Di secondo c’è rosbif, stracotto, fritto misto di pollo e coniglio oppure agnello al forno.»

«Io vado per il fritto misto. Anche per te, Emma?»

«No, non ho molto appetito, va bene una mezza porzione di rosbif.»

«Contorno? Patate arrosto, patate fritte, insalata, peperonata, bietole lesse?»

«Fritto per fritto, io prendo le patatine.»

«Un po’ di bietola.»

«Vino?»

«Mezzo litro.»

«Bene, arrivo subito con i primi.»

Mentre sgranocchiava un grissino, il commissario dette uno sguardo alla sala. La sua attenzione fu attratta da una tavolata abbastanza chiassosa di soli uomini, in cui si riconoscevano, tra le altre, alcune voci che parlavano italiano con forte accento straniero.

«Saranno turisti» disse Emma.

«Strano, guarda come sono vestiti. Sembrano operai, piuttosto.»

«Ci sarà un qualche cantiere qui vicino.»

«E poi sono tutti abbronzati. Guarda quelli sulla sinistra, che ceffi. Uno ha addirittura un tatuaggio sul collo, mi pare.»

«Non capisco cos’è.»

«Andiamo lì e tiriamogli giù il colletto per vedere meglio.»

«Deficiente. A me sembra una fiamma.»

«Che stanno dicendo?»

«Parlano di politica, credo. Prima ho sentito che discutevano della situazione delle colonie francesi in Nord Africa.»

«No, adesso parlano di calcio. Hanno proprio le tipiche facce da juventini.»

«Ecco le lasagne per lei e il minestrone per la signora» li interruppe la ragazza portando in tavola le due scodelle.

Campani si mise il tovagliolo sulle gambe e attaccò le sue lasagne con voluttà.

«Mmh, buone. Ti ho raccontato già, vero, che sono state le lasagne a farmi decidere di tornare in Eritrea?»

Emma alzò gli occhi al soffitto. Aveva già sentito la storia almeno altre cinque o sei volte. A Firenze, il neolaureato Francesco Campani era stato preso da una botta di nostalgia durante una cena fra amici, in cui gli era stato servito un piatto di lasagne a dir poco miserando; nulla in confronto a quelle stratificazioni esagerate e grondanti di ripieno piccante che venivano preparate in colonia.

«No, le lasagne in Italia non le sanno proprio fare» continuò Campani a bocca piena.

«Ma vedrai che le abbiamo inventate là, o no?»

«Eh, anche la radio l’hanno inventata in Italia, ma se vuoi comprare un apparecchio buono adesso lo devi prendere tedesco.»

Seguì un gigantesco vassoio di fritto appoggiato su un foglio di carta gialla; Campani guardava con commiserazione le due fettine di rosbif nel piatto di Emma.

«Assaggia pure, se vuoi» disse porgendole il suo fritto misto.

«Ti ringrazio, Francesco, ma è da qualche giorno che sono inappetente.»

Campani invece non si faceva pregare, e spazzolò il fritto in cinque minuti.

«Tu invece inappetente proprio no, vero? Bisogna che ti metta a dieta, o non entrerai più nei vestiti.



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