Lezioni cinesi by Francesco Grillo

Lezioni cinesi by Francesco Grillo

autore:Francesco Grillo
Format: epub
editore: Solferino
pubblicato: 2019-01-23T16:00:00+00:00


I villaggi e la più grande sperimentazione di democrazia partecipata

La democrazia partecipata, studiata da decenni da James Fishkin a Stanford come possibile antidoto all’obsolescenza sia della democrazia rappresentativa sia di quella diretta, è in effetti la forma più antica di partecipazione: è con le assemblee dei cittadini che nasce la democrazia ad Atene.

E non è neppure una novità assoluta nel mondo socialista, visto che le democrazie popolari, dopo la Seconda guerra mondiale, si contrapposero sul piano teorico a quelle parlamentari, perché la costituzione di quei Paesi prevedeva momenti assembleari a livello locale. Queste assemblee si chiamavano soviet ed erano talmente importanti da definire quelle repubbliche. Ma i soviet diventarono presto, già con Lenin e molto più velocemente delle istituzioni della democrazia parlamentare, un simulacro di se stessi.

Nel frattempo la democrazia partecipativa – sperimentata in maniera frammentata e diversificata in molti Paesi, dal Brasile che fu tra i primi ad applicarla per definire il budget della città di Porto Alegre, al Canada che ha esteso la sua applicazione in una metropoli multietnica come Toronto e fino all’Australia, che sperimentò una sorta di «assemblea costitutiva» fatta da cittadini estratti a sorte per discutere modifiche della costituzione – ha trovato il riconoscimento più formalizzato e ampio proprio in Cina.

Per 600.000 villaggi che ospitano 600 milioni di cinesi che ancora vivono in campagna,4 la legge prevede che il capo del villaggio e il suo consiglio (si chiamano proprio così, «capo» e «consiglio» e fanno pensare alle strutture primordiali dei villaggi degli indiani americani della nostra adolescenza) vengano eletti da tutti i cittadini con più di diciotto anni riuniti in assemblea.

Ma c’è di più. Gli eletti possono essere sostituiti se una mozione di revoca viene presentata da un quinto degli elettori, e l’assemblea plenaria discute (più raramente decide) su molte questioni: dalla gestione della terra – argomento principale attorno al quale ruota l’economia delle campagne – a quella delle coltivazioni comuni (dalle fragole ai funghi) e all’ubicazione delle case nuove che sostituiscono, nei programmi di lotta alla povertà, quelle che progressivamente vengono abbandonate perché spesso costruite con il fango e su terreni franosi. Si tratta di un modello che ho visto nei villaggi che ho visitato dai confini tra il Sichuan e il Tibet e che talvolta diventa la rappresentazione di scontri tra famiglie e generazioni. Proprio come succede nei romanzi di Mo Yan, che raccontano come quasi sempre le innovazioni, fin dall’istituzione delle comuni di Mao negli anni Cinquanta, abbiano prodotto frenesie e resistenze eroiche.

La legge che prevede l’istituzionalizzazione di queste forme di «autogoverno» non è però arrivata senza problemi, e i ripensamenti continuano tuttora. All’inizio fu il risultato di un lungo (undici anni) periodo di sperimentazione cominciato nel 1987 e finito nel 1998.

Inoltre, si tratta di una forma di autogoverno limitato, visto che in ogni villaggio, così come a ciascuno degli infiniti livelli istituzionali di una Cina fatta a scale, esiste anche la struttura parallela del partito – un primo segretario e un comitato nominati dal livello immediatamente più alto del partito stesso



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