Love by Angela Carter

Love by Angela Carter

autore:Angela Carter [Carter, Angela]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-12-15T07:30:26+00:00


POSTFAZIONE

Love fu scritto nel 1969 e i suoi personaggi, non tanto figli di Marx o della Coca-Cola, quanto del Nescafé e dello Stato assistenziale, sono i prodotti puri, perfetti, di quei giorni di mobilità sociale e libertà sessuale.

Inizialmente, avrei voluto scrivere qualcosa sul romanzo e su ciò che ne penso dopo circa vent’anni, su ciò che penso di quanto ora appare, ai miei occhi, come una quasi sinistra personificazione maschile, un’analisi glacia-le della ragazza folle e un penetrante aroma di infelicità. E pure sul forma-lismo elaborato dello stile che ha qualcosa a che fare con la fonte da cui trassi l’idea di Love, ovvero dal romanzo Adolphe, un’opera di grande sensibilità dei primi anni del diciannovesimo secolo, scritta da Benjamin Con-stant; fui colta dal desiderio di scrivere una sorta di versione moderna, popolare, di Adolphe, sebbene ora dubiti che qualcuno sia in grado di indivi-duarne le analogie dopo aver macerato il tutto in un’essenza a tripla concentrazione della vita provinciale inglese.

Dopodiché pensai che forse il modo migliore per discutere del romanzo consistesse nello scriverne ancora un pezzo. Sono cambiata parecchio da quel 1969, e lo stesso ha fatto il mondo; io più benevola, il mondo più deprimente, mentre i personaggi di Love, adesso, starebbero per avvicinarsi nervosamente alla mezza età, cosa che non avrebbero mai creduto possibile, sicuri che il mondo sarebbe finito prima.

Ovviamente, non mi è possibile far resuscitare Annabel; persino il movimento femminista non le sarebbe stato d’aiuto e la psichiatria alternativa, se possibile, avrebbe solo peggiorato le cose. Il romanzo ha un finale così enfatico, con un’affermazione talmente inconfutabile, che sarebbe un po’ di cattivo gusto prendere marito e cognato, amanti e medici ed estrapolarli dal testo - che poi è la bara di Annabel - per farli resuscitare. Benché il buon gusto, dopotutto, non sia un attributo significativo di questo romanzo.

Dapprima i ruoli minori.

Sebbene la moglie del professore di filosofìa appaia in una parte assai breve, sento di non averle reso piena giustizia in quei giorni in cui pensavo che le madri dovessero biasimare solo se stesse. Non capivo, all’epoca, perché fosse così arrabbiata. Lo capisco ora.

All’inizio degli anni Settanta diventò una femminista radicale e adesso vive in una fattoria sperduta del Galles assieme ad altre tre donne e due bei bambini, frutto di fecondazioni artificiali (non suoi), e un gregge di capre.

Conosce la seconda moglie di Lee, Rosie Collins, e anche Joanne Davis di Greenham Common, ma pensa alla sua vita di eterosessuale come a un brutto sogno da cui ora s’è destata e, comunque, Lee è stato solo una delle tante infruttuose soluzioni al suo malcontento e non è mai riuscita a ricordare il suo nome senza prima andare a controllarlo.

Il marito ha ottenuto l’affidamento dei loro tre bambini e lei non l’ha o-stacolato. S’è salvato l’anima rinunciando a promozione e pubblicazioni.

Svolge ancora la stessa attività, persino nello stesso appartamento, ma i figli crescono e lo considerano un santo e, sebbene ora siano già grandicelli, lui continua a tenere seminari per “padri separati” presso il Centro di quartiere il cui coordinatore è Rosie Collins.



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