Sofri Adriano - 1993 - Le prigioni degli altri by Sofri Adriano

Sofri Adriano - 1993 - Le prigioni degli altri by Sofri Adriano

autore:Sofri Adriano [Sofri Adriano]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Scienze sociali, Diritto penale
ISBN: 9788838909238
Google: LQBYNQAACAAJ
editore: Sellerio
pubblicato: 1993-04-01T22:00:00+00:00


Fui riportato a casa

Partono sgommando e sibilando «bastardi figli di puttana» all’indirizzo di cronisti e fotografi all’uscita del carcere. Resto chiuso e con le manette nel cubicolo di metallo, in cui è anche fulminata la lampadina bluastra: così, mentre corriamo sull’autostrada da Bergamo a Firenze, mi è impossibile sostenermi, al buio, e seduto di sbieco nella gabbia di ferro con le mani incatenate. Me ne sto zitto, e aspetto. Dopotutto sto tornando a casa. L’arrivo è grottesco. Mentre veniamo giù dal viottolo sterrato, preceduti da un’Alfa di carabinieri locali che ci ha rilevati, vedo il giardino pieno di giornalisti, fotografi, fari di operatori televisivi. I disgraziati della mia scorta, interdetti, fermano il furgone e mi ci tengono chiuso, al buio, per venti minuti, mentre studiano come eludere, chissà perché, quell’esausto distaccamento del quarto potere. Quando finalmente mi aprono scendo molto lentamente: che mi si veda bene con quelle manette sulla schiena. Provano a strattonarmi, grido loro: «Mettete giù le mani», si spaventano. Arriviamo in una calca indecente. Anche i cani stentano a farsi largo: poi ce la fanno, e mi buttano le zampe al petto, e stanno per travolgermi, perché non posso usare le braccia per schermirmi, e neanche per accarezzarli.

Dunque riprendo possesso della casa, e della notte.

Per un giorno c’è pace, e la uso per tirare il fiato, e guardare un orizzonte senza siepe. Finché arrivano uomini in divisa e in borghese, non dicono chi li manda e perché, fanno sopraluoghi guerreschi, traguardano le mura e le finestre della casa dall’alto e dal basso, dai campi e dalle colline di fronte. Poi mettono in atto la sorveglianza conseguente: tre automezzi contemporaneamente presenti, più di dieci uomini con tute mimetiche, mitra spianati, cannocchiali a infrarossi, cellule fotoelettriche. Ci sono agenti nei canali, nel canneto, in fondo alla valle: perquisiscono i passanti, aprono il baule delle auto dei miei vicini, ammoniscono la giovane signora che ci abita accanto a tenere sempre le luci accese «perché un colpo fa presto a partire». Mi irrompono continuamente in casa. Quattro giorni dopo avermi rimandato a casa mi convocano per un confronto (che avevo chiesto dal primo giorno), così che io rivada – sempre sotto scorta – avanti e indietro a Milano. La notte prima vengo svegliato ogni mezz’ora da pattuglie di poliziotti che sostengono di eseguire ordini. A Milano vado in un cellulare (ma senza manette) con tre carabinieri, questa volta gioviali, di Firenze. Ho un sonno tale che mi addormento nella ferraglia del furgone – come il giorno dell’arresto; e mi riassopisco nella stanza di un tenente G., nella caserma di via Moscova, dove resto ad aspettare per due ore. Il tenente G. – lui non c’è, c’è solo l’etichetta col suo nome – ha un armadio pieno di serrature verniciato in squillanti bande di verde bianco e rosso. La stanza del confronto è molto più grande, e decorosamente arredata, sia pure con la panoplia d’ordinanza di gagliardetti e motti. C’è perfino un grande olio ottocentesco con una pastorelleria posato contro una parete – prestito eternamente provvisorio di chissà quale museo.



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