Abbandono by Elisabeth Åsbrink

Abbandono by Elisabeth Åsbrink

autore:Elisabeth Åsbrink [Åsbrink, Elisabeth]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Iperborea
pubblicato: 2022-10-17T00:00:00+00:00


Molto tempo dopo, della maggior parte di quei giorni non resta nessuna traccia. Rimangono solo istanti isolati, disconnessi dalla linea del tempo, marcati dal loro profumo, dalla luce che li attraversa; fotogrammi sfocati di un vecchio film. K ricorda quando ridevano insieme, lei e la mamma. Quando la mamma entrava in una stanza e la stanza si trasformava, il calore vitale che le si raccoglieva intorno, come se solo in quel momento K sentisse di avere un corpo, di essere venuta al mondo. Non esisteva altro punto di riferimento. La mamma era il castello dove portavano tutte le strade, la torre con le sue segrete e le sue maledizioni, la regina con lo sguardo di un’oscurità devastante che poteva trasformarsi in arcate di luce, in dorate volte angeliche. K ricorda di averla amata, ma quelle parole sono prive di significato, sottili come carta di riso. Amare. Amore. Parole inutilizzabili per descrivere l’origine dell’universo.

Lei era l’origine del fuoco, l’origine degli angeli d’oro e dei barbagli di luce. Lei era l’origine delle punte di freccia, del dolore e delle ferite. Senza di lei, il niente. Da lei, tutto.

Eppure, molto tempo dopo, la maggior parte di quei giorni non esiste più. Forse K ricorda quelli sbagliati? Come si fa a sapere se certe ore, certe particolari sensazioni o esperienze si sono trasformate in ricordi perché ricorrevano abitualmente e si ripetevano tanto spesso da rimanere per sempre aggrappate alla corteccia cerebrale? O se quelle ore, quelle sensazioni e quelle esperienze si sono fissate nella memoria perché erano inconsuete, perché deviavano dalla quotidianità del quotidiano? Che cosa ricorda K, il consueto o l’inconsueto, il dolore o la gioia?

La quotidianità è: la nuvola di tempesta va al lavoro ogni mattina e torna a casa verso le sei di sera. Prepara la cena e mangiano insieme. Guardano il telegiornale, e a volte la mamma si addormenta sul divano. A volte K le posa la testa in grembo e sente la sua pancia che brontola. Poi la mamma si ritira per lavorare alle sue traduzioni. Quando chiude le due ante di vetro smerigliato della camera, K sa che non la deve disturbare. Dalla sua stanza sente il ticchettio delle dita sui tasti della macchina da scrivere e i lunghi silenzi quando la grande nuvola-mamma rilegge, o consulta il dizionario alla ricerca dell’espressione giusta. A volte s’interrompe per dirle che è ora di andare a dormire, a volte K ci pensa da sola. Allora la mamma viene a sedersi sul bordo del letto, le dà la buonanotte e si abbracciano, e poi K si addormenta tra i silenzi e il ticchettio dei tasti. E dopo si sveglia per i singhiozzi.

Attraverso il sonno, attraverso i muri, attraverso la sera K sente la mamma piangere nella cornetta grigia. Si immagina quell’apparecchio che si riempie di parole, di liquidi corporei, dell’angoscia della nuvola, una pioggia salata. La voce della mamma ora è accusatoria, ora è lamentosa. Il pianto è incessante, sale e scende come i cavi del telefono sui piloni dal finestrino di un treno: non ha mai fine.



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