Artico (Italian Edition) by Mian Marzio

Artico (Italian Edition) by Mian Marzio

autore:Mian, Marzio [Mian, Marzio]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Arcipelago Putin

Ulitsa Marata, San Pietroburgo, mattino plumbeo e piovoso. Da qualche parte miagola un gatto. Impossibile non sentire nei paraggi la presenza d’un assassino divorato dalle sue inquietudini metafisiche. Lo studente Raskol’nikov viveva nel quartiere, la vecchia l’ha uccisa qui a due passi da Ulitsa Marata, al 104 di Canale Griboedov. Oggi è il quartiere della mala cecena, tre auto della polizia stazionano con i lampeggianti accesi proprio all’angolo con la prospettiva Kuznechny, sotto l’ampia finestra della stanza dove Fëdor Dostoevskij ha scritto Delitto e castigo. A San Pietroburgo ha quasi sempre vissuto in case d’angolo, e con vista su una chiesa, per esorcizzare il male oscuro del mondo, sosteneva, e nutrire i suoi dubbi con la nostalgia d’un Dio sempre più assente o forse morto. Questa era la sua chiesa ortodossa, cui venne donata la Bibbia che lo scrittore portava sempre con sé da quando gli fu regalata dalle mogli dei decabristi alla stazione di Tobol’sk, mentre passava di lì, come condannato, verso l’esilio in Siberia. L’aspettavano quattro anni alla famigerata fortezza di Omsk. La chiesa ha una struttura a pianta quadrata, facciate uguali sui quattro lati, tutti decorati con sette colonne come un tempio neoclassico o massonico. Sembra appena restaurata, con un giallo tenue e melanconico. Dentro, un forte odore di legno appena incerato. Non ci sono icone, né bibbie, né altare. Dal 1930 è il Museo dell’Artico, la biglietteria è stata ricavata nel fonte battesimale. Al centro, sotto la cupola, un gigantesco globo visibile solo nella sua parte superiore, oltre il Circolo Polare Artico. Un tempio, appunto, un pantheon che celebra l’eroica conquista sovietica del Grande Nord, non certo quella criminale dei gulag.

Una decina di visitatori, si sente solo lo stridio delle scarpe da ginnastica sulle assi; bisbigliano come s’usa nei luoghi di preghiera. Si soffermano davanti al plastico d’una piattaforma petrolifera o al diario d’un esploratore sovietico. Una nonna indica al nipotino, cingendogli le spalle con un braccio, il modellino del rompighiaccio Lenin del 1959, il primo a propulsione nucleare. Anche Vladimir Putin, che è cresciuto nell’allora Leningrado, allevato poi nella cellula del kgb cittadino, ci veniva con il nonno; ha citato spesso il museo come il luogo in cui si è per la prima volta commosso di fronte allo «smisurato coraggio del popolo russo». C’è stato un tempo in cui i nomi degli esploratori sovietici erano più familiari dei membri del Politburo, nomi come Otto Schmidt che nel 1932 costruì la sua fama navigando per un anno lungo il Passaggio a nord-est, la Via Marittima Settentrionale, in gergo globalista NSR, Northern Sea Route; oppure come Valerij Čkalov che nel 1936 atterrò con un Tupolev modificato al Polo Nord; o Evgeny Fedorov, l’eroe del Severny Polus, il primo a trascorrere un intero inverno al Polo in una stazione di ricerca. Non era gloria personale, ma del narod, del popolo sovietico. In una bacheca la nota di Otto Schmidt, detto il Commissario del ghiaccio perché divenne l’efficiente manager delle purghe in Siberia: «Noi nell’Artico non inseguiamo i



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